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Varallo ricorda il poeta di Morca Sergio Minazzi

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Con le parole di Piera Mazzone e Giorgio “Giors” Salina

La prosa di Piera Mazzone, studiosa e presidente dell’incontro di poesia dialettale valsesiana “Pinet Turlo”, e la poesia di Giorgio Salina, in arte Giors, poeta dialettale: non c’è modo migliore di scrivere per ricordare il poeta dialettale Sergio Minazzi, di Morca, scomparso martedì scorso a 80 anni.

«La mia conoscenza di Sergio era legata alla poesia: quando aveva deciso di pubblicare le sue rime sparse in un libro mi aveva chiesto di scrivere la presentazione. “’l Rumor dal mè creus. Rime dialettali valsesiane”: fui colpita dal titolo che sottolineava il legame affettivo ad un piccolo mondo, del quale Sergio Minazzi era tornato a far parte, dopo essersene allontanato a malincuore, moderno Cireseu. Proprio nella premessa alla poesia: Al rumor dal me’ creus, esplicitava i sentimenti che avvertiva negli antichi emigranti della nostra Valle, quella: “Incurabile nostalgia per le cose valsesiane”, dalla quale non era stato esente: “Nulla varrà a farmi scordare il mormorio del mio torrente che, con immutato amore, saluta i miei primi passi, invitandomi a star con lui, la mia partenza con tristezza e, ancora, con gioia, i miei saltuari ritorni”.

Nei versi di Sergio Minazzi si susseguono molti temi ricorrenti, colti attraverso diverse prospettive ed angolature, per allargare gli orizzonti di un uomo che si sentiva ospite di un contesto molto più vasto, in cui era importante: “Santisi cuntent” e la parola Amicizia era ancora limpida e colma di significato.

Italiano e dialetto per lui erano semplicemente due canali espressivi, due tensioni che convivevano, così come si affiancavano poesia e prosa: peccato che quel racconto: “Su ‘l Valèe par Uriogn” sia rimasto un esempio isolato, nato dai sentieri della memoria, scaturiti da quella semplicità di vita, dettata realisticamente dalla povertà di mezzi, avvertita non come limitazione, ma come “ineguagliabile ricchezza”.

Minazzi era un nome noto tra i poeti dialettali valsesiani, partecipava a molti degli incontri poetici, da Valduggia, al Pinet Turlo, portandomi sempre anche una poesia di Cianu dal Creus, Luciano Ughetti, un valsesiano che viveva a Saint Etienne. Gentile e disponibile, amava “incorniciare” le sue poesie con serti floreali, che mi facevano pensare alla sua scelta della solitudine, di un silenzio che era quasi diventato un bisogno assoluto in un mondo assordante, non mi stupiva dunque quel vivere celato: era nel Dna di una persona che amava fortemente la sua Valle, non poteva starne lontano troppo a lungo, non l’aveva mai fatto per tutta la vita, e ora si godeva quel piccolo mondo appartato, pur essendo profondamente impegnato nel sociale.

Sergio era una persona discreta e riservata, spesso passava in biblioteca – a volte con la divisa della Cri, tra un servizio e l’altro – scambiavamo poche amichevoli parole: un giorno mi aveva donato un quadratino di marmo con un’etichetta scritta da lui sul retro: “Marmo rosa Varallo, qualità unica al mondo”, proveniente dalle vecchie cave di Locarno, lo guardo nella sua leggerezza ed armonia discorde e forse solo ora ne capisco il significato.

Ci ha lasciati con la stessa signorilità, senza disturbare nessuno, salutato con una semplice messa mattutina in Santa Maria delle Grazie, tornerà leggero, disperdendosi in quelle acque garrule: “Creus, ti canta…canta par tucc e…par mi, / parchè da veggiu i gnireu riva ti”».

SALÜT A N’AMIS

«Morca, ‘l tö crös, al car ricord dla mamma,/ j’eru i mutif dla tua puisia/ fina e armuniosa, mè sal pentagramma/ i scóru i noti d’una sinfunia./ E i risent la tua vós calma e prufunda/ a Valdüggia, Grignasch, Varal, Camas,/ quand sal palch in lassevu purtê dl’unda/ dal nöst bell dialëtt che tant an pias./ Cull crös ca t’ei cantà cun nustalgia,/ e che alora ‘t ciameva ‘d turnê qui,/ ‘l varda sü la tua cà e, passand via,/ ancöi la sua canssun ‘l canta par Ti!».

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