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Varallo ricorda Sergio Battù, storico rivenditore di vini

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Mazzone: «Aveva ereditato dal padre Attilio l’attività che esercitò per quarantaquattro anni: fine intenditore, aveva saputo introdurre i gusti caldi del Sud, unendo la Valsesia alla Sicilia»

Nei giorni scorsi Varallo ha dato l’ultimo saluto a Sergio Battù. L’uomo aveva commerciato vini per più di 40 anni, unendo alla passione per il lavoro l’amore per la sua città e per le montagne valsesiane. Sergio Battù era infatti stato assessore comunale per tre legislature e per più di settant’anni socio del Cai. Si è spento pochi giorni fa a 93 anni ed è stato sepolto il giorno dopo nel cimitero cittadino, dopo il rito funebre celebrato nella chiesa di San Marco, vicino alla quale ha sempre abitato con la sua famiglia, la moglie Angelica e i figli Corrado, Anna e Marco. Conosceva bene il 93enne Piera Mazzone che lo ricorda con queste parole: «Sergio Battù discendeva da un’antica famiglia originaria di Casalborgone (To): suo padre Attilio e sua madre Virginia nel 1920 si sposarono a Cervatto, dove lei insegnava nella scuola a Casa Limonda, in frazione Cadvilli – ricorda Piera Mazzone -. Nel 1922 nacque Anita, che si laureò in matematica e fisica a Milano, Sergio nel 1924 e Carla nel 1930, che si laureò in medicina. 

Sergio aveva ereditato dal padre Attilio l’attività di commerciante di vini, che esercitò per quarantaquattro anni: fine intenditore, aveva saputo introdurre i gusti caldi del Sud, unendo la Valsesia alla Sicilia. Si era innamorato di Angelica Torricelli, una splendida ragazza modenese, capitata per caso a Varallo come invitata ad un matrimonio. Dalla loro unione nacquero: Corrado, Anna e Marco. Per i due adorati nipoti, Giovanni e Pietro, Sergio nel 2010 aveva scritto la storia di un periodo particolare della sua vita, quello compreso tra il settembre 1942 e il maggio 1945, non un “diario postumo”, ma: “Una semplice rievocazione di episodi e racconti con lo scopo di riflettere sul triste passato e nello stesso tempo poter dire di godere della Libertà (non licenza) senza aggettivi e di non essere più coinvolti in guerre, peggio ancora se guerre fratricide”. Sergio amava profondamente la montagna ed era iscritto al Cai da più di settant’anni, era stato anche impegnato nell’amministrazione varallese: fu assessore per tre legislature. Il tempo non aveva infierito sull’alta elegante figura di questo gentiluomo con i capelli candidi, i baffetti appena accennati, quasi per incorniciare i sorrisi dei quali era prodigo, gli occhi chiari, perspicaci, sempre pronti ad illuminarsi, come l’alba di un giorno sereno. Eravamo Amici: un legame affettuoso e sincero, nato spontaneo, alimentato da interessi comuni. il dialetto, la storia del periodo resistenziale, l’amore per Varallo. Sergio aveva partecipato a tutte le edizioni del corso di piemontese che si tenne per alcuni anni in biblioteca: sagace, attento, sempre pronto ad intervenire in modo corretto. Riguardando le immagini di quegli incontri condotti sotto l’egida del Centro studi piemontesi, mi accorgo dei vuoti che si sono formati e davvero rimpiango quel crogiuolo di esperienze e di comune sentire.

Uno zio di Sergio, don Luigi Bertagna, era stato confessore del cardinal Tarcisio Bertone, avviandolo al noviziato Salesiano, si era creato quindi un contatto che aveva indotto Sergio ad inviare al prelato gli originali dei manoscritti dello zio affinché fossero conservati nell’Archivio salesiano, lasciando in biblioteca a Varallo le copie raccolte in un dvd. Alla biblioteca di Varallo aveva donato un originale album di fotografie, rilegato con una copertina in legno intagliato, con chiusure metalliche e aquila con stemma, contenente 34 fotografie in bianco e nero, che è stato restaurato da Sara Manzetti ed è conservato nella Sezione iconografica della biblioteca. Spesso Sergio, prima in bicicletta, poi con una bicicletta a motore, poi a piedi, appoggiandosi ad una elegante canna da passeggio, passava a trovarmi, si sedeva e con il suo consueto garbo s’informava di ciò che si stava facendo o era in progetto: non mancava mai di incoraggiare. I suoi consigli per me sono sempre stati importanti, anche quando segnalavano criticità, perché li riconoscevo sempre costruttivi.

Gli anni sono passati, quasi senza che me ne accorgessi, lo stesso anche per Sergio, che se ne è andato il giovedì Santo, a casa sua, circondato dall’affetto delle persone care. Avevo in serbo per lui un piccolo dono pasquale: sarebbe stata l’occasione per rivederlo. La notizia della sua morte mi ha profondamente rattristata: quell’ultima visita silenziosa è stata solo un temporaneo commiato, perché resterà tra le persone care, alle quali i pensieri spesso si indirizzano.Grazie Sergio per la tua affettuosa amicizia: un privilegio che mi rendeva orgogliosa». 

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