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Borgosesia, caso migranti: così don Ezio Caretti

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Nelle pagine del “foglio parrocchiale” in distribuzione in questi giorni in chiesa, il prevosto di Borgosesia riassume le tappe della vicenda legata all’accoglienza dei migranti.

E’ affidata al bollettino parrocchiale la posizione di don Ezio Caretti in risposta al clima determinatosi in città dopo l’arrivo di sei profughi ospitati da inizio marzo nei locali del circolo Acli di Aranco. Nelle pagine del “foglio parrocchiale” in distribuzione in questi giorni in chiesa, il prevosto di Borgosesia riassume le tappe della vicenda legata all’accoglienza dei migranti. Oltre a Borgosesia, ne sono ospitati dieci a Valmaggiore di Quarona e altrettanti a Scopa.

«La prefettura di Vercelli – spiega gli antefatti -, chiamata in causa come tutte le provincie italiane dal ministero degli Interni, doveva procedere alla collocazione di un certo numero di richiedenti asilo da distribuire in Valsesia. Borgosesia si presentava come il centro maggiore e, conoscendone l’esistenza, il prefetto ha focalizzato l’interesse sull’immobile Acli di Aranco. Ha fatto dunque formale richiesta alla parrocchia proprietaria dello stabile, che, con l’approvazione della diocesi di Novara, ne ha concesso l’uso per due anni stabilendo una locazione come contropartita della messa a norma delle scale e dei servizi igienici».

Ai primi di marzo sono giunti ad Aranco i primi migranti (preventivamente fissati in numero di diciotto), sotto la responsabilità della cooperativa Anteo come accoglienza e custodia. Il parroco rimarca la necessità dell’accoglienza sotto un profilo umanitario: «Nonostante gli episodi negativi che la cronaca riporta frequentemente – si legge nel bollettino -, e non diversi da quelli che coinvolgono cittadini italiani, gli stranieri che sbarcano sulle nostre coste dopo un viaggio al limite della resistenza umana, non sono attentatori della nostra incolumità, potenziali stupratori, ruba pane. Sono umani che vivono su questa terra, forse soltanto meno fortunati perché nati in paesi meno favoriti a causa di guerre, ingiustizie, carestie o arretratezza. Hanno talvolta l’apparente indolenza di chi non è stato chiamato nell’infanzia ad assumersi responsabilità, abituati a subire una condizione senza alternativa. Hanno il desiderio di stare meglio come ciascuno di noi. Non sono invasori, non sono clandestini: sono profughi o, più esattamente “richiedenti asilo”».

«Saremo in grado di considerarli almeno come esseri umani, noi che ricopriamo gli animali domestici di ogni attenzione e cura? – si domanda il parroco – Le emigrazioni hanno accompagnato la storia di tutti i tempi e non saremo noi che potremo contenerle o respingerle. I muri saranno abbattuti, il filo spinato rimosso e l’unica strada che permetterà un impatto meno traumatico e, in definitiva, anche arricchente, sarà quella dell’accoglienza e del dialogo».

Sulla condizione degli attuali ospiti all’Acli aranchese, don Ezio ricorda come «i richiedenti asilo accolti nella nostra città sono attualmente in numero molto limitato, sono sottoposti a controlli attenti (e, purtroppo, molto lenti), sono in attesa di un visto che permetta loro di trasferirsi in altre nazioni europee, o di progettare, in modo più stabile la loro presenza in Italia. Non possiamo pensare per ora a una loro integrazione tra noi, ma possiamo collaborare perchè si qualifichino meglio nella lingua e nell’apprendimento sempre più adeguato nella nostra cultura, comprese attitudini lavorative o abilità sociali».

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