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Chernobyl, 30 anni fa l’apocalisse nucleare. E non è ancora finita

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Il presidente di “Smile” ricorda la tragedia, la paura e la solidarietà verso le persone colpite

A trent’anni esatti dal disastro nucleare di Chernobyl, riceviamo e pubblichiamo una riflessione di Massimo Platini, di Pray, presidente di “Smile per la Bielorussia” e “Associazione veterinaria per la cooperazione internazionale”

«Trent’anni da Chernobyl, dal più grande disastro nucleare che ha colpito il mondo e, in modo pesantissimo una parte dell’ Ucraina, della Russia e della Bielorussia – allora Paesi  dell’ Unione Sovietica – mentre in parte marginale molta parte dell’Europa occidentale compresa l’Italia. Nella notte del 26 aprile 1986 lo scoppio del reattore numero 4  della centrale atomica di Chernobyl (nord Ucraina) ha causato la dispersione nell’atmosfera di tonnellate di isotopi radioattivi che poi sono ricaduti sul terreno causando una contaminazione ambientale che tutt’ora persiste e dalla quale l’umanità si libererà compiutamente solo tra centinaia di anni.

Oltre ai danni immediati, dovuti allo scoppio del reattore, e alle molte vittime (i numeri non sono mai stati divulgati) rimaste coinvolte direttamente e tra di esse almeno l’80 % dei “liquidatori “, persone mandate a cercare di mettere in sicurezza quasi a mani nude quello che rimaneva del reattore e, di fatto, da elevare a nuovi eroi dell’epoca moderna, rimangono i danni duraturi sulle distese dei terreni,  con le città evacuate (prima fra tutte Pripiat, prossima alla centrale nucleare di Chernobyl), con le zone diventate per sempre off – limits e con i graivissimi  danni sulla salute degli abitanti delle zone anche limitrofe.

Se pensiamo ai bambini, anche quelli nati negli anni seguenti e quelli che nasceranno negli anni futuri, e che vivono e vivranno nelle zone non evacuate, ma comunque contaminate, dobbiamo considerare che dopo 30 anni la situazione rimane grave e che le malattie causate dall’abitare  in zone non “pulite “ non sono destinate a diminuire: forme di leucemie, tumori alla tiroide, patologie cardiache sono tra le malattie, purtroppo, più diffuse in quei vasti territori. Anche in Italia, in alcune regioni di essa tra le quali il Piemonte, è arrivata la nube radiattiva lasciando sul terreno gli ispotopi radiattivi a lunga durata, quali il cesio 137 e lo stronzio 90, e per alcune settimane si sono succedute le raccomandazioni a non consumare vegetali a foglia larga, a non consumare funghi, a non bere latte fresco nei 15 giorni seguenti e utilizzare quello a lunga conservazione munto prima di quella fatidica data del 26 aprile 1986.

La disgrazia immane di Chernobyl può essere vista, però, anche da un altro aspetto, quella della mobilitazione che molte nazioni hanno messo in atto per portare aiuti a quelle popolazioni così colpite e l’Italia, come sempre, non è stata inferiore a nessun altro Paese. Negli anni appena successivi sono iniziate le azioni di accoglienza temporanea dei bambini provenienti dalle zone contaminate e abbiamo conosciuto una forma di solidarietà che fino ad allora era sconosciuta: ospitare per uno, due mesi un bambino ucraino o bielorusso è diventata per molte famiglie una normale fase di vita che si è ripetuta per molti anni.

Legambiente prima, Smile appena dopo sono diventati i punti di riferimento delle famiglie ospitanti del biellese e del vercellese per poi estendersi nel cuneese e in tutta la nostra Regione. Quanti bambini, molti di loro adesso già madri e padri di famiglia, sono passati nelle nostre case, arrivando all’inizio dell’esperienza con grandi timori ma tornando poi a casa con il sorriso e il desiderio di tornare l’anno successivo! Trascorrere un periodo di  lontano dalle zone contaminate è  considerata  una forma di risanamento molto valida e, quindi , la salute è sempre intesa come il primo obiettivo dell’accoglienza al quale poi si è aggiunto il fattore  affettivo poichè è naturale che la famiglia italiana diventi quasi sempre un punto di riferimento per i piccoli ospiti.

Molti di noi, famiglie ospitanti, hanno conosciuto, così, la soidarietà, si sono messi a disposizione per alleviare un poco le condizioni di vita dei bambini e ancora adesso dedicano loro attenzioni sottoforma di accoglienze, seppure molto dimunite nei numeri,  e di aiuti di tipo economico per le strutture ospedaliere e per i villaggi dai quali provengono i piccoli ospiti. Una grande esperienza, quella della solidarietà, quella del volontariato, che ho potuto iniziare  anche attraverso quanto ha causato il disastro nucleare di Chernobyl e che tutt’ora sto vivendo realizzando progetti di cooperazione di tipo professionale.

Perchè pochi sono adesso i bambini accolti nei Paesi occidentali e perchè rimangono, seppure in parte diminuiti, i pericoli per chi vive nelle zone contaminate e perchè in Bielorussia ( il Paese nel quale da anni operiamo ) è grande la volontà di crescita anche culturale e formativa alla quale noi possiamo contribuire attraverso progetti mirati. Voglio ringraziare le famiglie della Valsessera e della Valsesia che per anni hanno accolto i bambini bielorussi e  che tanta parte hanno avuto nelle loro vite e che hanno affrontato personalmente i costi dell’accoglienza, quasi  in silenzio, lontano da ogni clamore, quasi sempre senza alcun aiuto da parte delle istutuzioni: una grande forma di volontariato, valore grandissimo».

Massimo Platini

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