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«Perché abbiamo deciso di ospitare una rifugiata in casa»

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L’esperienza di una famiglia borgosesiana 

Una famiglia borgosesiana ha cominciato ad accogliere in casa i rifugiati.  Maria Rosa Pantè e il compagno Guglielmo Veccia da gennaio ospitano una giovane pakistana insieme al suo bimbo di pochi mesi. Un’esperienza che Pantè definisce «bella e difficile», ma che grazie all’aiuto dei volontari della Caritas può essere affrontata da chiunque. 

Questo è stato il tema dell’incontro di pochi giorni fa all’oratorio di Borgosesia intitolato “Camminare insieme e sentirsi responsabili dei propri fratelli”. La serata ruotava attorno alle testimonianze di accoglienza vissute attraverso il progetto “Protetto-rifugiato a casa mia”. A raccontarle, oltre a Pantè, anche Federica Mariani, responsabile per la Caritas diocesana.

«Il progetto – dice Pantè – prende spunto dalle parole di papa Francesco in cui viene auspicata un’accoglienza diffusa sul territorio. In provincia di Vercelli, io e il mio compagno siamo stati un po’ pionieri, insieme ad altre due famiglie che non hanno dato ospitalità a rifugiati, ma hanno messo a disposizione alcune strutture».
Il progetto è stato lanciato dalla Caritas ed è destinato a coinvolgere le comunità. «L’idea mi piaceva – afferma Pantè- e così, visto che abbiamo una casa spaziosa, abbiamo fatto questa esperienza. La possibilità è emersa attraverso la cooperativa Anteo, che ci ha segnalato il caso».

La giovane ospitata dalla famiglia borgosesiana ha 25 anni ed è originaria di una zona rurale del Pakistan al confine con l’Afghanistan. Una zona di guerriglia, dove le rappresaglie sono all’ordine del giorno. Il fratello del marito, un informatico che ora vive e lavora a Milano, è stato ucciso dai talebani. L’uomo è stato poi raggiunto dalla moglie, che lo scorso 19 dicembre ha dato alla luce un bimbo. Ospitata appena dopo il parto alla Casa della mamma e del bambino, la giovane pakistana, dalla fine di gennaio è entrata a far parte della famiglia di Pantè. «Vive qui con il bimbo, ha la sua camera e il bagno. Gestiamo il piccolo insieme. La cosa più difficile? A volte comunicare: conosce poco l’inglese, anche se ora sta frequentando un corso di italiano, ed è molto religiosa. E’ islamica ed contraria ad ogni forma di violenza. E’ angosciata dalle notizie sulle violenze perpetrate sai seguaci del Califfo. Al suo paese, dove le case non hanno nè acqua corrente nè elettricità, insegnava in una scuola materna. Ha lasciato i genitori e i fratelli».

La giovane pakistana però, in attesa del ricongiungimento col marito, non resterà a lungo a casa dei borgosesiani. «Vorrei proseguire con questa esperienza – conclude Pantè – preferibilmente ospitando delle ragazze, aiutandole a studiare. Sono loro quelle maggiormente penalizzate. Certo però che la mia esperienza non può restare un caso isolato. L’ospitalità di migranti nelle famiglie deve diventare un progetto prima di tutto politico. La difficoltà più grossa infatti riguarda la parte economica, affidata solo al volontariato; in questo modo rimane un discorso elitario».
L’ospitalità della giovane pakistana a Borgosesia è stata sostenuta dai volontari della Caritas.

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