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Al museo di Serravalle il cappello dell’abate Carestia

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Appuntamento culturale che ha incantato gli appassionati di storia 

Storia e attività venatoria: questi i fili rossi de “Il bisonte e il cervo. Dalla caccia per sopravvivere alla creazione dei parchi nazionali”, conferenza tenuna a Serravalle nei giorni scorsi e inserita negli “Incontri al museo” curata dall’architetto Andrea Musano. Relatori Piersergio Allevi e Roberto Gobetti che hanno presentato al pubblico alcuni interessanti e originali oggetti: «Una curiosa custodia di coltelli nata dal riutilizzo di una testa di coccodrillo imbalsamato – riferisce la studiosa serravallese Piera Mazzone presente alla serata -, due fucili da caccia con il calcio intarsiato con motivi decorativi e figure di animali selvatici, di cui uno era stato di proprietà di un certo Pietro Croso, il cappello dell’abate Carestia e la tabacchiera di don Ravelli. La prima parte della serata era incentrata sulla caccia, presentata dal punto di vista storico, poiché l’attività venatoria ha accompagnato l’uomo fin dai primordi della sua presenza sulla terra, attraverso la proiezione di immagini di reperti artistici, come i famosi mosaici romani di Villa Armerina, che mostrano scene di caccia, e spezzoni di film commentati».

Nel corso del suo intervento, Allevi ha presentato la singolare figura di Giacomo Costantini Beltrami, bergamasco, «giovane inquieto – scrive Mazzone – che a causa delle sue idee rivoluzionarie fu anche imprigionato. Dopo essere stato ufficiale negli eserciti napoleonici ed essersi arricchito, con la Restaurazione partì per le Americhe e scoprì le sorgenti del Mississippi. Era molto noto tra gli Indiani perché era un tipo eccentrico: si proteggeva la pelle bianchissima con un ombrellino di seta rossa e indossava finissime calze di seta bianche. In Italia è poco noto, mentre in America gli fu dedicata una Contea». Nella seconda parte della serata, dedicata alle esplorazioni e ai “viaggi per conoscere”, «è stato anche mostrato un réportage fotografico – prosegue Mazzone – che documentava l’ascesa al Monte Rosa partendo dalla bassa valle, salendo da Alagna alla Gnifetti, poi alla Margherita, con successiva discesa a Gressoney, compiuta nel 1903 da una spedizione di personaggi milanesi appartenenti al ceto alto borghese, come testimonia lo stesso apparecchio fotografico utilizzato: una novità per l’epoca. Non deve sorprendere la presenza di portatori donne, cosa piuttosto frequente in ambiente montano». Musano ha poi mostrato alcuni oggetti curiosi, conservati al museo serravallese: il cappello dell’abate Antonio Carestia (Riva Valdobbia 1825-1908), che raccolse un erbario di 25.000 specie botaniche, oggi conservato all’Orto Botanico di Torino, mentre alcune centinaia di fogli sono al Museo Calderini di Varallo, e la tabacchiera di don Luigi Ravelli (1869 – 1963) parroco di Foresto, alpinista e geografo, autore della Guida alpinistica, artistica e storica della Valsesia, edita nel 1913. Al termine della serata, come di consueto, è stato lasciato spazio al pubblico per poter porre domande ai relatori e visionare da vicino i “reperti”.

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