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Il record di Enzo: 70 anni nel Cai Valsessera

L’uomo è iscritto dal lontano 1955 e ha vissuto da protagonista tutta la storia dell’associazione.

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Il record di Enzo: 70 anni nel Cai Valsessera. L’uomo è iscritto dal lontano 1955 e ha vissuto da protagonista tutta la storia dell’associazione.

Il record di Enzo: 70 anni nel Cai Valsessera

Una vita legata alla montagna, al territorio e alle persone. Enzo Vercella Baglione, residente a Coggiola, è da 70 anni socio del Cai Valsessera, un traguardo che racconta non solo una fedeltà straordinaria al sodalizio, ma anche un pezzo importante della storia locale. Appassionato di montagna e profondo conoscitore delle tradizioni valsesserine, Vercella Baglione conserva nel suo archivio fotografie d’epoca e ricordi preziosi che attraversano intere generazioni.

Nei giorni successivi al pranzo sociale di fine novembre, una delegazione del Cai Valsessera ha fatto visita a Enzo per consegnargli una targa celebrativa.

«Abbiamo chiacchierato – racconta la presidente Beatrice Marchisio –, ed Enzo ci ha raccontato tanti aneddoti legati al Cai Valsessera, vissuti in questi 70 anni di appartenenza. Li ho trascritti così da ricordare i vari momenti importanti e quello che ci ha raccontato Enzo, che è un pezzo della nostra storia».

L’avventura del rifugio

Durante l’incontro sono riaffiorati ricordi legati alle amicizie, alle camminate, ai presidenti che si sono succeduti e, soprattutto, a una delle opere più significative del Cai Valsessera: il rifugio.

«La cosa più importante che abbiamo fatto con il Cai Valsessera – ha raccontato Vercella Baglione – è stata senza dubbio il rifugio. Mi ricordo che siamo andati a Milano in sede centrale io, il presidente Francesco Gatti e Luigino Mina a chiedere il permesso per costruirlo. Poi subito dopo siamo andati a Bergamo a prenotare gli elicotteri e così siamo passati davanti ad altre sezioni, da quinti a primi. Quando siamo tornati in Valsessera abbiamo detto “ce l’abbiamo fatta”».

Persone che hanno fatto la storia

Il racconto prosegue con immagini vivide di un lavoro collettivo e appassionato: «Il rifugio è poi arrivato a Ponte San Giovanni a Coggiola e lo abbiamo montato a pezzi. Abbiamo lavorato per settimane, preparando anche la ghiaia che poi è finita a Monte Barone. Tre elicotteri ci hanno aiutato a portare tutto il materiale a Ponasca, alcuni dei soci dormivano su, Ales dirigeva i lavori».

Nei suoi ricordi trovano spazio anche le persone che hanno segnato la vita del sodalizio. «Ho visto tanti presidenti – racconta il coggiolese – quando c’era Giachino partivamo e andavamo a sciare a Cervinia. Mi ricordo anche di Cesare Rinaldo, di quando siamo andati a piazzare la lapide all’Argimonia. Delle gite fatte agli inizi io, Pianet, l’Eraldo, Dante e Genio Cravetta, Giancarlo Sacco. Eravamo tra i soci più attivi».

La montagna e la vita quotidiana

Le imprese in montagna si intrecciano con la vita quotidiana: «Mi ricordo quando abbiamo fatto la traversata del Bianco partendo da Courmayeur, non c’era ancora il tunnel. Sono rimasto l’ultimo del gruppo. Più tardi poi avevo già le figlie piccole. Mia moglie a luglio andava con le bambine al mare in Liguria, io lavoravo sempre, tranne a metà luglio quando il Cai organizzava la gita di due giorni. Allora mi dicevo “de Enzo piantla lì” e andavo. Abbiamo fatto il Gran Zebrù, il Palù».

Un Cai che era anche comunità: «Ci trovavamo nelle riunioni settimanali in sede, gli uomini parlavano di montagna, le donne giocavano, il presidente dell’epoca vendeva vino e ci portava sempre qualcosa. Abbiamo avuto una fortuna sfacciata: era finita la guerra e tutto era in evoluzione. Eravamo tutti amici, ci si trovava, andavamo via assieme in montagna ragazzi e ragazze. Era proprio bello».

Una generazione fortunata

Nel racconto finale, Vercella Baglione allarga lo sguardo alla storia del territorio: «Devo dire che noi della mia generazione abbiamo avuto una gran fortuna. Iniziando dal 1944 e poi nel ’45 abbiamo visto fuggire tutti i fascisti che correvano in mezzo a Coggiola. Abbiamo visto crescere i Fila, i Bozzalla, i Bardella, costruire le fabbriche, arrivare i primi calabresi. L’economia è cresciuta fino agli anni ’70 e poi piano piano è diminuito il lavoro. Ma noi abbiamo avuto la fortuna di vivere dei bei tempi e quando c’era da fare l’abbiamo fatto».

Settant’anni di Cai, ma soprattutto settant’anni di memoria, amicizia e passione per la montagna, che oggi rappresentano un patrimonio prezioso per l’intera comunità valsesserina.

 

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