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Andrea Degasparis racconta Rigopiano

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La guida alpina di Alagna nell’albergo travolto dalla valanga. «Pronto a ripartire di fronte alle emergenze»

«La prima impressione? Un casino bestiale. Diluviava, nebbia fino a terra, di notte, macerie, disorganizzazione. Mai vista una cosa del genere». Andrea Degasparis, 36 anni, guida alpina di Alagna, è uno dei tre volontari del Sav che dal 20 al 23 gennaio sono partiti dalla Valsesia alla volta dell’Hotel Rigopiano, in Abruzzo, travolto da una valanga. 

«E’ arrivata una chiamata collettiva per volontari – racconta Degasparis – così siamo partiti. Da Torino siamo arrivati in Abruzzo con i mezzi della Protezione civile, eravamo i primi ad arrivare all’albergo dalla strada dopo le prime squadre, che erano salite con le pelli. C’era un grosso radar svizzero che monitorava la neve in parete, al minimo movimento scattava la sirena d’evacuazione».

La vicenda si concluderà, dopo due settimane di scavi, con 29 morti e 11 superstiti; è la più grande tragedia da valanga in Italia negli ultimi cent’anni. «Noi, con turni di venti ore, dovevamo tagliare grossi alberi – continua Degasparis – e scavare in profondità, arrivando alla struttura. Poi facevamo dei buchi dove si infilavano le squadre specializzate dei vigili del fuoco. Pensavamo ci fosse ancora qualcuno vivo là sotto, così abbiamo pompato al massimo. Bastava poco per riaccendere la speranza: ricordo che quando abbiamo trovato la targhetta della reception l’emozione fu enorme. Solo dopo la nostra partenza hanno trovato tre cagnolini ancora vivi; i superstiti erano stati salvati prima del nostro arrivo».

Una catastrofe che ha colpito un territorio enorme. «Non sono attrezzati per la neve – prosegue – sono tanti paesini distanti tra di loro, come da noi in Valsesia; là però sono una cinquantina su un territorio molto più grande. E’ colpa di qualcuno? Non saprei, sicuramente non era il posto più adatto per costruire un albergo. Ma anche qua da noi sono state costruite case in aree non sicure: a Pedemonte venne nel 1972 una valanga di 11 metri, che soltanto sfiorò, per fortuna, la casa dei miei genitori».

Vivere un’avventura simile lascia il segno, così come raccontarla. Soprattutto se si aggiunge tragedia alla tragedia. «Abbiamo lavorato fianco a fianco per due giorni – conclude Degasparis – a due tecnici di Alagna, che conoscevamo bene. Sono dovuti andare via perché iniziavano il loro turno all’elisoccorso. Il giorno dopo il loro elicottero è caduto. Come mi sento? Mah, siamo tornati a casa un po’ scoraggiati. Avevamo dato tutto, ma non avevamo trovato nessuno. C’è comunque l’enorme soddisfazione, nel nostro piccolo, di aver dato una mano. Se dovesse succedere ancora? Ripartirei. Di corsa».

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