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Bar costretti all’asporto. Ma è solo un ripiego per sopravvivere | LE FOTO
Bar costretti all’asporto: «Vendere un caffè sulla soglia del bar è un segno di sopravvivenza, un modo per dire “io ci sono, sono qui non lasciateci da soli”».
Bar costretti all’asporto
Il caffè o il cappuccino al bar: una “coccola” di cui molti clienti hanno sentito la mancanza durante il lockdown primaverile. Un periodo che ovviamente ha significato pesanti ripercussioni economiche per i titolari. Poi, come noto, è scattato un altro lockdown, con baristi e ristoratori costretti ad abbassare nuovamente le serrande. Alcuni per la verità, presi in contropiede dalla decisione di rinviare di 24 ore l’entrata in vigore del decreto, lo hanno fatto un giorno prima: chi per aver già fatto la manutenzione della macchina del caffè, chi per aver già lasciato il giorno libero al dipendente. L’ultima beffa per un settore che si stava riprendendo a fatica dopo lo stop primaverile e che nemmeno la consegna a domicilio o l’asporto potrebbero salvare.
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Un adattamento
«Vendere un caffè sulla soglia del bar è un segno di sopravvivenza – dichiara Jose Saggia della Federazione italiana pubblici esercizi di Vercelli – , un modo per dire “io ci sono, sono qui non lasciateci da soli”. Segni di dolcezza e disperazione al tempo stesso. Tutti cercheranno di adattarsi e di fare ciò che è permesso dalle normative. Ma si tratta di adattamenti per dare un senso alla giornata, per non rimanere fermi, dopo che si è fatto del tutto per cercare di rispettare le indicazioni che chi avevano dato». Il settore della ristorazione, secondo Saggia, è in ginocchio dopo questo nuovo stop: «Molto attività, soprattutto quelle più piccole, rischiano di non riaprire mai più. In qualche caso ci troviamo di fronte ad incassi dimezzati e i ristori che arrivano non sono di certo sufficienti per superare un anno di grande difficoltà. La situazione è molto preoccupante perché assolutamente non è sostenibile questo modo di gestire l’emergenza. Non si riesce a far fronte a nulla, in qualche caso neppure a mantenere la famiglia. E anche il Natale ormai è compromesso».
La gestione
Il rappresentante di Fipe mette nel mirino la gestione della pandemia da parte delle istituzioni: «Non accettiamo il modo di affrontare il problema. Troppo facile prendersela con chi ha un’attività, le questioni sono altre, sono più grandi, mentre gli interventi messi in pista sono palliativi per giustificare forse un’incapacità nel gestire un problema serio come la pandemia, che è stato affrontato senza provvedimenti seri e adeguati nel periodo estivo. La politica è lontana anni luce dalla realtà, continua a discutere su cose che non sono pratiche e che non servono al Paese». In questo clima c’è perfino il rischio che qualcuno possa davvero arrabbiarsi, come già accaduto nei giorni scorsi in alcune piazze italiane: «Come presidente di categoria – conclude Saggia – non posso far altro che dire a tutti di stare calmi e tranquilli e di combattere una battaglia di responsabilità. Però capisco la rabbia e la delusione che si prova tutti i giorni a non poter fare il proprio lavoro. Faremo di tutto per collaborare fin quando le forze ce lo consentiranno, ma non tocca a noi fare proposte. Quando ci hanno imposto delle regole, le abbiamo fatte rispettare all’interno dei nostri locali, ma questa nuova chiusura rischia di penalizzare solo qualcuno».
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