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Fanghi tossici venduti come concime: Sizzano ora chiede i danni

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Fanghi tossici venduti come concime: Sizzano ora chiede i danni. Una vicenda incredibile accaduta in Bassa Valsesia.

Fanghi tossici venduti come concime: Sizzano ora chiede i danni

«La vicenda – afferma il sindaco, Celsino Ponti – non solo ha creato un gravissimo danno economico, ma ha anche leso l’onorabilità di Sizzano». Sono finiti anche in alcuni terreni del paese i fanghi tossici spacciati per fertilizzanti e venduti ad ignari contadini. «Chissà il bambino che mangia la pannocchia di questo mais cresciuto sui fanghi…», diceva al telefono un venditore della società “Wte srl” di Bergamo.

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Durante un’intercettazione telefonica l’uomo commentava la bellezza paesaggistica di Sizzano aggiungendo, ridendo, di come sarebbe stata rovinata dai “gessi” lì sversati. Già, chissà cosa succederà, visto che i campi sono stati “concimati” da un mix di roba tipo stagno, idrocarburi, toluene, fenolo, solfati, fluoruri, cianuri, nichel, rame, selenio, arsenico. Il business dell’azienda bresciana era esteso tra Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, per un totale di 3000 ettari di terreni agricoli. In provincia di Novara le scorie sono finite anche ad Agrate Conturbia e Momo, e, in provincia di Vercelli, a Balocco.

Le indagini dei Forestali

Le indagini sono partite dai carabinieri forestali di Brescia, guidati dal comandante Pier Edoardo Mulattiero, e coordinate dalla Procura di Brescia. Imponente il traffico di rifiuti tossici emerso: si parla di 150mila tonnellate di fanghi contaminati da metalli pesanti, idrocarburi e altre sostanze inquinanti, realizzato tra il 2018 e il 2019. Un business che ha generato oltre 12 milioni di euro.

Come funzionava il traffico

Dalla ricostruzione è emerso che la “Wte srl”, a fronte di lauti corrispettivi, ritirava i fanghi prodotti da numerosi depuratori pubblici e privati. Il materiale avrebbe dovuto essere trattato mediante un procedimento che ne garantisse l’igienizzazione e la trasformazione in sostanze fertilizzanti. Invece, non solo il trattamento non veniva effettuato o solo parzialmente, ma pure venivano aggiunti ulteriori inquinanti, come l’acido solforico derivante dal recupero di batterie esauste. Infine, per disfarsi di tali rifiuti e poter continuare il proprio ciclo produttivo fraudolento, l’azienda li classificava come “gessi di defecazione”.

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