Cronaca
Trivero piange Adriano Trabaldo, unico in paese ammalato di Sla
Una vita piena di coraggio nell’affrontare la malattia
Trivero piange Adriano Trabaldo. La sua è stata una vita dedicata alla famiglia e al lavoro. E grande è stato il suo coraggio nell’affrontare la malattia. L’uomo era residente in frazione Cereie ed è morto all’età di 66 anni. Da circa due era stato colpito dalla Sla, la sclerosi laterale amiotrofica, una malattia neurodegenerativa progressiva. Aveva lavorato in una pettinatura del paese e da una decina di anni era in pensione. Amava andare in bicicletta, la natura, soprattutto gli uccelli. Chi ha avuto modo di conoscerlo se lo ricorda mentre accompagnava il nipote Matteo alla scuola dell’infanzia, si ricorda il suo riserbo, ma anche la sua attenzione e il suo amore nei confronti del piccolo.
A ricordarlo è Luigi Trabaldo Lena, che lo ha conosciuto bene e che ha avuto modo di seguirlo anche nella malattia, come presidente dell’Aisla, l’associazione che si occupa dei malati di Sla. «Adriano era una persona buona, un uomo esemplare anche nella sofferenza. Un uomo forte e profondamente religioso. Ha fatto di tutto per tutelare la sua famiglia e per vivere bene con loro gli ultimi suoi momenti di vita. La natura per lui era importante e la rispettava, la sua passione erano anche i canarini che allevava. Amava la bicicletta e fino a che la malattia glielo ha permesso faceva i suoi giri. Non riusciva più a parlare, ma ha cercato di continuare a comunicare con chi amava, anche nella consapevolezza di quanto fosse devastante la sua malattia».
Adriano Trabaldo era l’unico, attualmente, affetto a Trivero da Sla. Il funerale è stato celebrato in frazione Cereie, frazione in cui viveva con la moglie Ambra Cerri. La comunità si è stretta al dolore dei familiari, del figlio Simone con la moglie Stefania e il piccolo Matteo, dei fratelli Gianernesto, Enrico e la suocera Mirella e gli altri parenti.
«Si tratta di una malattia rara – spiega Trabaldo Lena – una malattia devastante che ti uccide giorno dopo giorno. Quello che stiamo facendo come associazione è stare vicini ai malati e alle loro famiglie. Stiamo cercando di costruire una “rete” che possa permettere di creare un modo per orientarsi, di collaborare con i medici, di sapere cosa si può fare e dove. Di dare delle risposte, di offrire delle cure palliative che rendano la qualità della vita migliore: cure che in questo caso non vanno intese come interventi degli ultimi giorni, ma che proseguono per anni, perché il decorso è lento e serve molta attenzione. Per questo sarebbe importante che fossero fatte a domicilio per le persone ancora lucide. Nell’Asl di Biella si sta lavorando, anche se c’è ancora carenza. Nell’Asl di Vercelli invece il servizio manca. Bisogna cercare di fare in modo che si crei questa rete, che le persone malate e i loro familiari abbiano un appoggio. Se un malato si sente supportato, non si sente un peso per gli altri. Se si creano delle basi si riesce anche a rendere la qualità della vita migliore».
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