Cultura e turismo
Ivan Defabiani: da Quarona ai templi della lirica mondiale
Qualche giorno fa era in paese per ritirare il ”Babbio d’argento”
A soli 31 anni è già all’apice della carriera, impegnato in un lavoro che è prima di tutto una passione e che gli sta facendo girare il mondo. Qualche giorno fa, però, il tenore Ivan Defabiani è tornato nella “sua” Quarona. Il motivo? Ritirare il “Babbio d’argento” che la Pro loco del paee ha deciso di conferirgli per i successi raggiunti finora.
I concerti la obbligano a una vita vagabonda, riesce a tornare a casa di tanto in tanto? «Torno sempre volentieri in Valsesia, è qui che sono nato e cresciuto. Sono di Valmaggiore, ma ho vissuto per molto tempo anche in alta valle dove i miei hanno gestito alcuni ristoranti. I miei familiari vivono ancora qui e quando posso vengo a trovarli».
Questa volta è tornato per ritirare un premio… «Già, e mi ha fatto molto piacere. Non me lo sarei mai aspettato, in passato il “Babbio” è andato a nomi ben più importanti del mio. E’ bello vedere che il tuo paese riconosce e apprezza quello che stai facendo e i risultati che hai raggiunto».
Com’è iniziata la sua “avventura” nel mondo della musica? «Quando ero ragazzino, avevo 14 o 15 anni, ho iniziato a suonare e cantare in un’orchestra di liscio. Suonavo la fisarmonica e il sax, e cantavo, ma senza alcuno studio alle spalle. Sono rimasto in quest’orchestra fino a 25 anni, con esibizioni in tutta Italia e anche in diverse trasmissioni televisive. E’ stato proprio negli studi tv che è stato notato il timbro della mia voce e mi è stato consigliato di avvicinarmi alla lirica, che già ascoltavo volentieri. Mi veniva proposto di cantare brani dell’opera e mi riuscivano anche se non avevo le basi necessarie. Da qui la decisione di iscrivermi al conservatorio, prima a Torino e poi a Milano per motivi di lavoro».
Quali sono stati i primi impegni professionali? «Mentre frequentavo il primo anno del conservatorio sono stato scelto come corista alla Scala; da qui non mi sono più fermato, cantando nei cori di importanti teatri italiani e anche esibendomi come comprimario. La svolta decisiva è avvenuta due anni fa, quando ho cambiato repertorio. Ho lasciato il genere leggero per avvicinarmi a Verdi, che sentivo più mio. In questo senso ho debuttato al teatro municipale di Piacenza, interpretando Fritz Kobus nell’“Amico Fritz” di Pietro Mascagni. E poi ci sono stati il “Macbeth”, l’opera “Ballo in maschera” portata in scena a Ferrara e, a Ravenna, “La traviata” diretta da Riccardo Muti. Per non citare che alcuni dei tanti lavori portati sul palco in questi ultimi anni».
Nel frattempo si è anche diplomato al conservatorio. Ma ce l’ha ancora un sogno nel cassetto? «Professionalmente parlando direi di no, sono arrivato ben oltre le mie aspettative. Ho raggiunto risultati che non avrei mai sperato e sono soddisfatto così. Umanamente mi piacerebbe in futuro fare qualcosa di buono per gli altri, visto che ora non ne ho il tempo».
Qual è stata in questi anni la soddisfazione più grande? «Non saprei trovarne solo una, ogni esibizione è stata diversa dalle altre e a suo modo emozionante. Cantare per la prima volta alla Scala, anche se nel coro, mi ha riempito di orgoglio, così come essere stato scelto da Muti nonostante la mia giovane età. Quando ho iniziato non credevo che sarei stato all’altezza della situazione, ora che sono in carriera ringrazio e sono felice di ogni traguardo raggiunto».
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