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Parla un reduce di Boca: «Nei campi di prigionia facevamo la fame»

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Dopo l’armistizio, però, rifiutò di unirsi all’esercito di Salò: da qui la prigionia, in un campo di concentramento per prigionieri a Norimberga

Da Rottenburg a Boca: l’esperienza di guerra di Alessandro Erbetta. Non aveva ancora compiuto vent’anni quando venne chiamato per il servizio militare. Entrò in quella che allora era la Regia Aeronautica e fu mandato in un campo dell’aviazione di Orvieto. Erbetta, a soli 19 anni, era già un meccanico specializzato e aveva frequentato l’ “avviamento”: sapeva quindi dattilografare e svolgere altre mansioni utili, che gli fruttarono degli incarichi lontani dal campo di battaglia vero e proprio.

Dopo l’armistizio, però, rifiutò di unirsi all’esercito di Salò: da qui la prigionia, in un campo di concentramento per prigionieri a Norimberga. «Finii lì con tre amici – ricorda – appena arrivati, venne fatto l’appello: loro furono subito portati via, mentre io venni saltato e rimasi lì un mese circa». Le condizioni nel campo erano durissime: «Ci davano solo un mestolo di minestra. Un giorno vidi un altro prigioniero scaldare delle ghiande sulla stufa e ci provai anch’io. Ma erano davvero troppo amare»

Venne quindi chiamato a lavorare in una fabbrica, a Rottenburg: qui mise a frutto le sue competenze in un clima decisamente più umano, malgrado le lunghe giornate di lavoro. «In fabbrica c’erano anche dei tedeschi, comprese delle donne – spiega – ci davano anche dei soldi per le cose di prima necessità». Qua visse un piccolo avvenimento decisamente emblematico della realtà della guerra: un ragazzino tedesco si prendeva gioco dei prigionieri italiani, definendoli codardi. Lo stesso ragazzo fu poi inviato a combattere. Quando tornò, dopo avere sperimentato in prima persona l’atrocità della guerra, andò a scusarsi con gli stessi prigionieri. Erbetta passò in prigionia il 1944 e il 1945.

Ad annunciare la liberazione fu un Marine americano, che era stato di stanza nello Stivale: «Uè, uagliò, siete dell’Italia?» fu la sua indimenticabile frase di presentazione davanti ai prigionieri. Da lì, grazie anche alla Pia Opera di Assistenza del Vaticano, iniziò il complicato ritorno a casa del bochese. Fu mandato dapprima in Austria, quindi a Pescantina. Il viaggio era difficile perché le infrastrutture, soprattutto i binari, erano pesantemente danneggiati dai bombardamenti. Dal Veneto passò a Milano e da lì, finalmente, dopo le ultime peripezie, riuscì a salire su una corriera per Borgomanero. Lì incontrò il suo datore di lavoro: «Ma da dove vieni, tu?» gli chiese incredulo, prima di prestargli la sua bicicletta per tornare aBoca. Nel 1948, dopo la guerra, sposò Anna Del Boca, purtroppo scomparsa nel 1979, e con lei ebbe due figli.

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