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CronacaVarallo e alta Valsesia

Ancora vandalisimi in montagna: presa di mira la Madonnina del Bo

Un episodio che segue di pochi giorni quello analogo sul Tagliaferro.

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Ancora vandalisimi in montagna: presa di mira la Madonnina del Bo. Un episodio che segue di pochi giorni quello analogo sul Tagliaferro.

Ancora vandalisimi in montagna: presa di mira la Madonnina del Bo

Ancora un atto vandalico in vetta a una montagna e ancora una Madonnina presa di mira. Dopo la sconcertante sparizione della statua sulla cima del Monte Tagliaferro avvenuta pochi giorni fa, un nuovo gesto di inciviltà si è registrato sul Monte Bo, a quota 2071 metri. Anche qui, la storica Madonnina che vegliava sugli alpinisti è stata danneggiata.

A rendere nota la notizia è stato un post pubblicato venerdì scorso su Facebook, diventato rapidamente virale tra escursionisti e appassionati di montagna, suscitando sdegno e amarezza. Il Monte Bo, come il Tagliaferro, non è una vetta per tutti: salire fino alla croce di vetta richiede esperienza, preparazione e rispetto per l’ambiente. È proprio questa consapevolezza a rendere il gesto ancora più difficile da comprendere.

Sconcerto tra gli alpinisti

«Chi arriva lassù ama la montagna. È inconcepibile pensare che possa compiere atti simili», si legge nel messaggio condiviso sui social. Tra le voci più dure, quella di Ferruccio Baravelli, storico membro del Cai di Varallo e del gruppo Grim, già intervenuto in occasione del precedente episodio.

«Secondo me sono satanisti convinti. Riescono a salire fin lassù per un voto». Un commento forte, che riflette però il sentimento diffuso in tanti alpinisti di fede cristiana, ma anche semplicemente di tanti che considerano comunque queste statue un piccolo patrimonio di storia e di cultura. Per molti, rappresentano un legame profondo tra spiritualità, memoria e fatica, simboli che raccontano storie di generazioni di alpinisti, di promesse, di ricordi.

Gesti senza un movente comprensibile

Le ipotesi sul movente restano aperte. C’è chi parla di vandalismo fine a sé stesso, chi ipotizza atti deliberati e organizzati. In ogni caso, si tratta di un’offesa non solo ai credenti, ma all’intera comunità montana.

«Non serve essere religiosi per indignarsi – scrive un alpinista su un forum –. Quei simboli raccontano vite, emozioni, salite condivise. Distruggerli significa distruggere una parte di noi».
Di fronte alla ripetizione di questi episodi su cime difficili da raggiungere, cresce la richiesta di maggior controllo. Alcuni propongono l’uso di fototrappole o collaborazioni tra enti locali e gruppi alpinistici, anche se le difficoltà logistiche non sono trascurabili.

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