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Quando Adriano Olivetti era rifugiato a Varallo: riaffiora una vicenda del 1944
Un curiosa “pillola” di storia locale raccontata da Ferruccio Baravelli.
Quando Adriano Olivetti era rifugiato a Varallo: riaffiora una vicenda del 1944. Un curiosa “pillola” di storia locale raccontata da Ferruccio Baravelli.
Quando Adriano Olivetti era rifugiato a Varallo: riaffiora una vicenda del 1944
Adriano Olivetti è stato un imprenditore, ingegnere e politico italiano, figlio di Camillo, fondatore della prima fabbrica italiana di macchine per scrivere. Ma Adriano Olivetti è stato anche un editore, un intellettuale e un precursore dell’urbanistica, svolgendo un ruolo determinante nel rinnovamento della società. Meno conosciuta, invece, è una parte cruciale della sua vita legata alla Valsesia, che ha avuto un ruolo fondamentale nella sua salvezza, nel febbraio del 1944, quando Olivetti era ricercato dal regime fascista per la sua opposizione al governo e per il suo impegno contro la repressione delle libertà in Italia.
«Non è ben chiaro come sia giunto a Varallo, forse perché dalla Valsesia molti riuscivano a salvarsi grazie alle guide partigiane, come ben menzionato dal libro “Varallo Misteriosa” e quindi probabilmente attraverso i contatti partigiani. Sta di fatto che, in attesa di fuggire in Svizzera attraverso un valico nella zona di Stabio, trascorse due giorni in un alberghetto in regione Crosa, dietro all’attuale ristorante Delzanno – racconta Gian Paolo Frigiolini – che conosce bene questa storia trasmessa nella sua famiglia. Successivamente – continua Frigiolini – per ragioni di sicurezza, Adriano fu trasferito in un altro rifugio, una piccola casetta simile a un fienile, sempre alla Crosa e situata vicino all’attuale strada carrozzabile».
Il viaggio oltre il confine
Il racconto è stato confermato anche da Piero Corte, memoria storica importante di quel periodo. Nel suo racconto, Frigiolini e Corte attribuiscono a un partigiano molto conosciuto a Varallo, Bartolomeo Chiodo, il ruolo di contatto principale di Olivetti. Non è chiaro, però, chi sia stato esattamente a “traghettarlo” oltre il confine: alcuni sostengono che siano stati i traghettatori abituali, come Leo Colombo o Jocu Chiara, mentre altri suggeriscono la partecipazione di un certo De Bernardi o di Tita Corte, padre di Piero. Alcuni, infine, ipotizzano che a portare Olivetti oltre il confine sia stato proprio Bartolomeo Chiodo, anche se questo non è certo. Come riferisce il figlio Alberto Chiodo: «Mio padre non è mai entrato nei particolari di questa azione di salvataggio».
La storia di Olivetti sarà raccontata in una rappresentazione teatrale dal titolo “D.E.O. ex macchina, Olivetti: un’occasione scippata”, che sarà messa in scena domani, martedì 3 dicembre, al teatro Civico di Varallo, nell’ambito della stagione teatrale. L’attore Antonio Cornacchione, attraverso le memorie di un impiegato, racconterà la vera storia della Divisione Elettronica Olivetti e dei ricercatori che portarono l’elettronica italiana a competere nel mondo. Una scelta teatrale del tutto casuale, anche se non è casuale il legame determinante di Olivetti con Varallo a cui deve probabilmente la vita e tutto ciò di buono che successivamente è riuscito a realizzare.
Dopo la guerra
Quando la guerra finì e Adriano Olivetti tornò in Italia, incontrò Bartolomeo Chiodo a Ivrea e Chiodo venne riaccompagnato a Varallo con la macchina di Adriano. Una Aurelia B 12 con autista targata Roma, l’auto più elegante di quel periodo. Questo gesto segnò l’inizio di una lunga collaborazione, visto che Olivetti affidò a Chiodo il compito di rifornire la sua azienda. Come racconta il figlio di Bartolomeo, Alberto Chiodo: «Con le provvigioni sugli acquisti, mio padre iniziò la sua ascesa economica, che gli permise di avviare a Varallo la sua piccola fabbrica di modellini di auto e altre attività”.
Questa vicenda rientrerà, con altre che s’intrecciano, in un capitolo del libro “Varallo Curiosa”, in uscita a dicembre 2025».
Ferruccio Baravelli
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