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Borgosesia giovane biologa per un anno a fianco degli indios in Amazzonia

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Borgosesia giovane biologa fra i Kukama, in Perù: un popolo minacciato dallo sfruttamento improprio del territorio.

Borgosesia giovane biologa in Perù

Un’esperienza letteralmente dall’altra parte del mondo, per salvaguardare l’ambiente e le popolazioni messe in pericolo dal suo sfruttamento. La giovane biologa Rebecca Pagani, ventiseienne di Borgosesia laureata magistrale all’Università di Torino, ha trascorso dodici mesi nella foresta peruviana a contatto con il popolo Kukama, dando il proprio contributo per contrastare il degrado ambientale che circonda gli indigeni sudamericani. Partita a marzo 2019 e tornata alla fine di febbraio, Pagani ha raccontato la propria esperienza di servizio civile volontario durante una conferenza online patrocinata dall’Anpi di Varallo: “Wika ritama kukama”, ovvero “Forza popolo Kukama”, una delle molte comunità locali minacciate dallo sfruttamento improprio del territorio.

La resistenza

La loro sopravvivenza è strettamente legata a quella della natura, minacciata dall’impatto negativo che le attività umane hanno su di essa. Proprio per questo, si può parlare di una vera e propria “Resistenza” da parte di queste popolazioni: «Resistenza alla degradazione del territorio e alla contaminazione – spiega Rebecca Pagani -. Le comunità con cui ho lavorato si trovano a fianco dell’oleodotto Nor Peruano, che trasporta ”oro nero” estratto nella regione. Spesso le tubature si rompono, con conseguente fuoriuscita di petrolio. Diversi studi hanno dimostrato che le acque, il suolo, il cibo e le persone stesse sono contaminate da metalli pesanti e idrocarburi, motivo per cui esse chiedono che ci sia un controllo da parte dello Stato sul lavoro che svolgono le imprese petrolifere, in modo che questo avvenga nel rispetto del territorio e della salute».

Il lavoro

Durante i suoi dodici mesi a Iquitos, città nella foresta amazzonica, Pagani ha svolto il suo servizio civile in un centro di ricerca antropologica, portando avanti attività di educazione ambientale con le popolazioni indigene e occupandosi della scrittura di articoli e divulgazione scientifica. Il progetto faceva parte delle iniziative dei Caschi Bianchi ed era coordinato dalle organizzazioni non governative Focsiv e la peruviana Caaap, che si occupa, tra le altre cose, di fornire supporto legale agli indigeni dell’Amazzonia. «Entrare nella comunità Kukama è come trovare una famiglia: è stato molto facile. Le persone ci seguivano, erano partecipative e contente che noi fossimo lì. Con alcuni si è creato un legame di amicizia profondo, li considero parte della mia famiglia e non ho perso i contatti – racconta Pagani -. Nonostante la maggior parte dei problemi degli indigeni siano causati da noi occidentali, loro non hanno perso la speranza e sanno riconoscere le buone intenzioni di chi va lì per aiutare e imparare. Sono molto disponibili e accoglienti».

Il ritorno

Com’è tornare dopo un anno così? «Si rivaluta il proprio modo di vivere e ci si accorge di quanto spesso si diano per scontate cose che in realtà sono superflue. Ci si rende conto della fortuna che abbiamo qui. È un’esperienza forte e si torna cambiati in meglio: abbiamo molto da imparare da persone che, nonostante la loro vita difficile, riescono a essere comunque contente» commenta la giovane.
Anche ora che l’emergenza covid ha messo un po’ tutto in pausa, Rebecca Pagani continua a pensare a progetti futuri a cui partecipare. Un giorno, potrebbe anche crearne da zero uno tutto suo, sempre legato a tematiche ambientali o di agricoltura sostenibile portata avanti con le tecniche ancestrali utilizzate dalle comunità indigene: «Sento che c’è un mondo fuori, con tante cose da vedere e da scoprire – conclude -. Viviamo in una situazione di degrado ambientale diffusa un po’ in tutto il mondo e anche la questione del cambiamento climatico è pesante. Come biologa, mi piacerebbe lavorare per contrastare questi fenomeni, che sia nella foresta amazzonica o in altre parti del mondo».

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