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Pastrello, maestro delle emozioni: il ricordo di Piera Mazzone

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Aveva 75 anni

Riceviamo e pubblichiamo il ricordo dell’artista borgosesiano Franco Pastrello scritto da Piera Mazzone, direttrice della biblioteca civica “Farinone-Centa” di Varallo:

«Franco Pastrello ha sempre amato disegnare e dipingere, ma per necessità ha frequentato una scuola di disegno tecnico meccanico, i suoi strumenti erano: compasso, tiralinee, fogli lucidi, che poi si sarebbero trasformati in spatole, pennelli e matite acquerellate, ma quell’impostazione scolastica certo era servita a fornirgli le regole per cercare le forme e gli aveva conferito un’inconfondibile pulizia di segno. Pastrello ha cominciato a dipingere utilizzando i colori a olio, negli anni ’60: arrivato giovanissimo dal Veneto, con la prima decade da militare si comperò una scatola di colori. Ultimato il servizio di leva si iscrisse alla storica Scuola Barolo, e la frequenta dal 1965 al 1968 sotto la guida del maestro Arturo Farinoni, imparando quella che lui chiamava la “prospettiva del colore”, il modo in cui i colori vengono accostati, “a fare i neri senza usare il nero, a fare le ombre senza che diventino grigie, a usare il giallo e il blu senza farli diventare verde”.

Attraverso sua moglie Giuliana si è innamorato della Valsesia, dell’Alta Valsesia, degli alpeggi, dei territori al confine tra i boschi e le cime. Molti dei suoi quadri hanno come soggetto la Valle d’Otro e la Val Vogna. La sua pittura nasceva dall’osservazione diretta della natura, interpretata attraverso la propria sensibilità. Le sue non sono “copie dal vero”, non sono “quadri-cartolina”, perché si recava nei luoghi che lo colpivano, memorizzava le immagini, ma poi i colori erano i suoi: “I colori sono quelli dell’anima, quelli che hai dentro”. Paradossalmente nel periodo in cui Pastrello ebbe dei problemi di salute, i suoi colori si erano fatti più vivi, più intensi, più carichi di vita, quasi volesse trattenerla sulla tela. La pittura ha sempre rappresentato per quest’artista una valvola di sfogo, un modo per superare e vincere le difficoltà.

Parlando del paesaggio, un tema figurativo a lui molto caro, diceva: «Il paesaggio ti dà il senso della vita, la natura ti dà la voglia di vivere, il paesaggio è come la vita, pieno di chiaroscuri, di ombre e di luci». Inoltre amava ripetere: «Sono uno dei fortunati che vede la vita a colori, perché il colore ti dà gioia, ti dà la forza di andare avanti». Nella sua vita Pastrello ha dipinto più di mille quadri, tra matite e disegni: «Dipingere per me è un gioco, mi diverto, scarico le tensioni, mi rassereno con la vita, è la mia valvola di sfogo. Dipingo le cose come piacciono a me, non mi lascio condizionare da nessuno, lavoro d’istinto e non tutti i giorni sono uguali». Durante uno dei nostri primi colloqui, nel suo studio appollaiato sotto Sant’Anna, prese una matita e su un pezzo di carta schizzò il profilo della chiesa; al mio stupore nel veder nascere le forme della realtà, si schermì: «Non ho più bisogno di guardarla, è lì, appena fuori dalla porta di casa, ogni giorno mi lascia dentro un’emozione diversa».

Nonostante il curriculum importante, costellato di riconoscimenti, Pastrello era rimasto una persona semplice, che s’incantava a guardare un sasso o a scoprire il sorriso di una persona anziana, che affiorava nel reticolo delle rughe. E infatti ha dipinto anche una serie di quadri dedicati agli antichi mestieri della montagna: quello che raffigura una donna intenta a cucire gli “scufon”, le tipiche calzature valligiane, è stato donato alla biblioteca “Farinone-Centa” di Varallo.  Franco era molto legato alla famiglia: all’amatissima moglie Giuliana, ai due figli Cinzia e Ivan, e soprattutto ai tre nipoti, Carlo, musicista, Cristian e Sofia. Nel 2014 a tagliare il nastro dell’ultima mostra in biblioteca era stata proprio la nipotina Sofia, pochi mesi, ma già con i colori in testa.

Franco era una persona generosa, che amava condividere l’arte: all’Ecomuseo di Cellio aveva tenuto un corso gratuito di pittura organizzato dalla Pro loco: due settimane, per imparare le tecniche del pennacquo e dell’olio a spatola. Durante l’ultima mostra a Palazzo Racchetti, “L’anima della spatola”, del maggio 2014, aveva accettato di fare alcuni laboratori con gli studenti della scuola primaria, che con la sua guida avevano imparato a preparare i colori sul supporto, sulla tela, mentre la spatola, assottigliata ed estremamente flessibile, serviva loro per stendere le tinte.  Era tornato a trovarci l’anno scorso, in occasione della mostra del fotografo Alessandro Erbetta: molto smagrito, aveva raccontato della sua malattia e di come avrebbe vinto anche quella battaglia. Era il Franco di sempre e per noi resterà quella persona generosa, ottimista e vitale che sapeva dipingere le Emozioni».

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