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Ristoratori beffati dalla zona gialla: c’è anche chi non vuole nemmeno riaprire

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ristoratori beffati

Ristoratori beffati con le regole legate a pranzi e cene all’aperto: in Valsesia, in questo periodo, le temperature sono ancora proibitive. Inoltre, non tutti dispongono di spazi all’esterno.

Ristoratori beffati

Una ripartenza estremamente attesa che invece ha lasciato delusi i ristoratori. Da lunedì, con l’arrivo della zona gialla, oltre al servizio d’asporto si aggiunge la possibilità di far pranzare e cenare i clienti seduti. Ma all’aperto. Una decisione che ancora una volta penalizza l’intero settore. C’è chi gli spazi esterni non ne ha proprio, e poi c’è anche la questione climatica. In Valsesia cenare a lume di candela all’aperto in primavera non è molto consigliato. Le temperature sono ancora fredde. Ecco che di fronte a questi provvedimenti c’è chi ha deciso di lasciare perdere e aspettare poi giugno per iniziare a lavorare.

A Varallo

«Per adesso non abbiamo la possibilità di fare nulla all’aperto – spiega Ornella Marchi dell’Albergo ristorante Italia di Varallo -. Quando ci attrezzeremo con il ristorante estivo allora inizieremo a lavorare. L’anno scorso da inizio giugno l’avevamo attivato, ma è impensabile proporlo nel mese di maggio o a fine agosto». Dietro la scelta oltre all’aspetto climatico c’è anche la questione economica e un discorso legato alla qualità del servizio: «Il rischio è di avere spese superiori alle entrate. Mi spiace perché abbiamo spazi enormi all’interno e non possiamo utilizzarli neppure con presenze ridotte. Questa è la vera assurdità. Auspicavamo di avere regole anti assembramento, però una comunione da venti persone si poteva organizzare. Con queste regole invece non si può far nulla dentro. Anche perché le cerimonie hanno il loro senso se c’è una location adeguata».

A Rima

In alta Valsesia Elisabetta Regaldi del Ristorante alpino a Rima continuerà con l’asporto: «Fino a giugno non riusciremo a organizzare pranzi e cene all’esterno con il clima valsesiano. Poi mi trasferirò al Nonaj con pizzeria, ristorante e albergo». Anche per Regaldi l’apertura del servizio di ristorazione all’aperto non fa che danneggiare il settore: «Non posso far mangiare i clienti con 4 gradi quando arriva l’ombra, poi dalle nostre parti c’è anche il rischio pioggia. Per stare a metà o proporre un servizio fatto male preferisco proseguire con il bar, panini e miacce».

Nel rifugio

L’idea tirata fuori dal cilindro dal Governo di pranzi e cene all’aperto va anche a sfavorire i rifugi. «In pratica è come fare l’asporto ma si possono mettere i tavoli fuori, almeno non dobbiamo spedire i nostri clienti nei prati – interviene Mara Viganò del rifugio Monte Barone all’alpe Ponasca di Coggiola -. Già lo scorso autunno abbiamo chiesto preventivi per piazzare qualcosa fuori per permettere alle persone di mangiare, ma a parte i prezzi pazzeschi c’è anche il rischio che queste strutture vengano portate via dal vento e da noi non manca».

A Ghemme

C’è delusione nelle parole di Franco Gambarini, titolare storico del Gufo Nero di Ghemme: «Aspettiamo solo che ci diano la croce… Ci hanno trattato in modo drammatico. Prima in zona gialla si poteva mangiare al coperto, adesso con queste restrizioni chi ha uno spazio fuori magari lavora e chi non lo ha cosa deve fare? Se una volta andava bene perché ora non si può più? Ci proibiscono di tutto, poi magari se guardo la tivù, vedo un gol e tutti i giocatori si abbracciano come se nulla fosse, per carità avranno fatto il tampone. Ma c’è anche una questione di etica. Di fronte a categorie come quella della ristorazione o dello spettacolo prese in giro ci vorrebbe un po’ di rispetto». Al di là dei pranzi e cene all’aperto si potevano prendere altre decisioni: «Ai ristoranti bastava mettere una limitazione di entrata. Hanno adottato un provvedimento lacunoso che non si può applicare ovunque: è vero che ci sono ancora morti e ci va rispetto, però la gente ha bisogno di vivere e lavorare». Con i provvedimenti il “Gufo Nero” nell’ultimo anno ha avuto una notevole contrazione del fatturato: «Non siamo arrivati neppure al 40 per cento rispetto agli anni scorsi. Noi abbiamo otto dipendenti e finora li abbiamo sempre pagati, ma i soldi non li troviamo nel cassetto. Bisogna guadagnarli. Siamo in una situazione che non riesco a darmi una spiegazione, dov’è il domani e il futuro?»

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