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Varallo ricorda Eva Minazzi: fondò l’attuale Raviolificio Bertoli

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Varallo ricorda Eva Minazzi: dalla “butega” al raviolificio, una storia lunga oltre mezzo secolo.

Varallo ricorda Eva

Dalla classica bottega di montagna all’attuale raviolificio. E’ un’avventura da raccontare quella intrapresa dalla famiglia di Eva Minazzi, vedova Bertoli, che si è spenta poco tempo fa a Morca, all’età di 86 anni. Il suo nome è legato al “Raviolificio pasticceria Bertoli”, una delle attività commerciali più rinomate della Valsesia. Fra le altre cose, tre anni fa, si distinse per la produzione di uno dei migliori panettoni d’Italia. Un piccolo laboratorio artigianale nato nel 1952 per volontà di Carletto Bertoli e della moglie Eva che, con grandi sacrifici, ma anche con grande lungimiranza, decisero di buttarsi in quella avventura. Tutto iniziò con una domanda di matrimonio a dir poco inconsueta: “Mi la butega sun catala, dess o ta ma sposi, o i vach ciarchenu n’auta”, ovvero “io il negozio l’ho comprato, adesso o mi sposi o vado a cercare qualcun’altra”.

Porta a porta

«Con la simpatia e l’umorismo che lo contraddistingueva – riporta il libro che la famiglia Bertoli fece realizzare in occasione del 60º di attività -, papà Carletto e mamma Eva diedero il via con il “pan ad biava”, la piccola pasticceria ed i primi agnolotti fatti a mano uno per uno alla creazione del nostro laboratorio. Sperimentarono quella che oggi si chiama vendita porta a porta rivolgendosi ai privati, ai negozi ed ai ristoranti della valle». Una passione per i prodotti genuini legati al territorio che i coniugi Bertoli trasmisero al figlio Piero e lui, a sua volta, alla moglie Nicoletta e agli “eredi” Mattia e Carlotta, che a distanza di mezzo secolo continuano l’avventura iniziata nel lontano ’52.
Negli anni il laboratorio ha subito vari cambiamenti e oggi ha sede sempre a Varallo ma, rispetto alla prima panetteria-commestibili sorta in piazza Ravelli, sorge in località Balangera.

La credenza della speranza

Del resto in 60 anni i cambiamenti sono inevitabili, ma una testimone preziosa del tempo passato è rimasta a fare mostra di sé nel negozio: si tratta della “credenza della speranza”, chiamata così perché quando arrivò in casa Bertoli «era un momento di grande speranza – riporta sempre il libro del 60º -: quella di una famiglia appena nata con il matrimonio tra mamma Eva e papà Carletto, quella di un futuro migliore con alle spalle il fantasma di una guerra finita da poco e quella con una prospettiva di lavoro che doveva ancora diventare “lavoro”». La credenza venne acquistata da Eva con i soldi della liquidazione, 40mila lire, licenziandosi dalla fabbrica per seguire il sogno coraggioso del marito Carletto: “la butega”. Da allora la credenza c’è sempre stata, prima come parte integrante del negozio di piazza Ravelli a Varallo, poi come dispensa in quello che era il prototipo di laboratorio di pasta fresca, ed ora, dopo un vero e proprio intervento di chirurgia estetica, nell’attuale punto vendita alla Balangera. Eva Minazzi mise al primo posto nella sua vita sempre la famiglia e il lavoro, che presto si trasformò in una grande passione. Una passione nel creare prodotti che fossero delizie.

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