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Decine di donne e di bambini salvati dalla strada: a Borgosesia c’è “Agape”
Dal 2014 opera a Borgosesia il centro “Santa Giovanna Antida” che offre una sponda a persone vittime di violenza o degrado sociale.
Decine di donne e di bambini salvati dalla strada: a Borgosesia c’è “Agape”. Dal 2014 opera a Borgosesia il centro “Santa Giovanna Antida” che offre una sponda a persone vittime di violenza o degrado sociale.
Decine di donne e di bambini salvati dalla strada: a Borgosesia c’è “Agape”
L’associazione Agape di Borgosesia si prepara a festeggiare 10 anni di attività con la casa di accoglienza “Giovanna Antida”. «Siamo diventati un importante porto sicuro per donne vittime di violenza provenienti da tutta Italia».
Tra il 2008 e il 2009 la Caritas parrocchiale di Borgosesia e le Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret promossero uno studio che mise in luce il bisogno di trovare nel territorio valsesiano un rifugio per le vittime di maltrattamenti psicologici e fisici, o di ricatto economico. Nel 2010 venne costituita la associazione di volontariato “Agape”. Quattro anni dopo, grazie alla concessione di comodato d’uso gratuito di alcuni locali del Comune di Borgosesia, nacque appunto la casa di accoglienza. Da qualche anno a guidare l’associazione che si occupa della struttura è l’avvocato Alberto Regis Milano.
Avvocato, quali sono stati i primi passi di “Agape”?
Abbiamo ristrutturato l’immobile ed è iniziato così un lungo percorso. Oggi accogliamo donne che hanno anche bimbi al seguito. Sono persone che provengono da contesti in cui c’è degrado ed emergenza sociale. I servizi sociali individuano la struttura protetta per avviare un reinserimento nel contesto sociale e nel mondo del lavoro.
Vi occupate solo di casi della zona?
Abbiamo convenzioni con i servizi sociali di molte realtà piemontesi e lombarde. Nel contempo abbiamo ospitato anche donne provenienti da Sicilia e Sardegna, quindi zone non coincidenti con quelle in cui operiamo.
Quante persone accoglie la vostra struttura?
Abbiamo a disposizione dodici posti letto, con camere separate. Oltre alle donne, ci sono spesso anche i loro figli che possono essere bimbi di pochi mesi fino a ragazzi in età adolescenziale. I giovani vengono poi inseriti in percorsi scolastici a Borgosesia. Tutti, sia le donne che i giovani, sono seguiti da operatori esperti il cui numero varia tra cinque e sette in base al periodo, e da una psicologa. Importante inoltre l’apporto dei volontari.
Qual è il tempo di permanenza nella residenza?
Dopo l’accoglienza si avvia un progetto con i servizi sociali con l’obiettivo appunto di un reinserimento nelle dinamiche della comunità. Ci vogliono tra i sei mesi e un anno per una semi-autonomia iniziale e quindi una autonomia totale. Tutto ciò richiede comunque una certa buona volontà da parte dell’ospite che dovrà staccarsi dalla persona e dal contesto violento da cui proviene. E questo non è assolutamente semplice: a volte il senso di colpa delle donne porta a far ritorno alle situazioni iniziali.
Immagino siano parecchie le esperienze dolorose che il personale della casa di accoglienza deve affiancare.
Ci sono state donne vittime della tratta e della prostituzione. I casi sono molto problematici e il rischio di “bornout” da parte del nostro personale c’è. Richiediamo sempre il supporto di supervisione di uno psicologo esterno per garantire un’operativa corretta e serena per tutti.
Tutte le donne che avete seguito sono riuscite alla fine a superare i traumi subiti e ricominciare?
Se pensiamo alle vittime della tratta, alcune purtroppo di fronte alla prospettiva di un compenso facile, e altre motivazioni, non sono riuscite ad abbandonare definitivamente la vita da strada. Nella maggior parte dei casi però il successo dei percorsi proposti è stato presente. Parecchie ospiti hanno recuperato la loro autonomia, e quel senso di indipendenza che inizialmente sembrava solo un miraggio.
Come guarda al futuro Agape, visti i continui e numerosi casi di violenza non solo a livello nazionale?
La Valsesia non è immune da violenze di genere, purtroppo. Oggi c’è maggior consapevolezza e i casi di violenza domestica emergono in maniera più diffusa. Ci sono in effetti tante denunce da parte delle vittime, ma spesso non sono strumenti ancora efficaci per garantire una protezione completa. Noi ad esempio non siamo una casa rifugio ma possiamo esserlo in casi di estrema necessità. E’ capitato che donne si rivolgessero ai carabinieri e noi le abbiamo accolte in forma di protezione per poi avviare il processo con i servizi sociali.
C’è un sogno nel cassetto per “Agape”?
Oltre alla struttura operativa a Borgosesia, vorremmo avere una rete di unità abitative da mettere a disposizione delle ospiti che stanno lavorando per raggiungere la loro autonomia. Attualmente si aiuta con degli affitti, di certo se avessimo a disposizione delle proprietà il discorso sarebbe un po’ diverso.
A breve festeggerete i primi dieci anni della struttura di Borgosesia, avete in programma un evento?
Ci stiamo lavorando. In concomitanza con la Giornata mondiale contro la violenza delle donne faremo di certo qualcosa. Stiamo definendo il tutto. L’auspicio è che in futuro la nostra casa non serva più e se questo succedesse, vorrebbe dire che le violenze sarebbero un brutto ricordo. Ma purtroppo le prospettive non sono queste, anzi, i casi sono sempre più in aumento.
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