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L’opposizione di Trivero: «Creative Commons, 40mila euro per un buco nell’acqua»

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Così Piero Casula e Lidia Villanova sul laboratorio di multimedialità e punto di aggregazione per i giovani

«Un buco nell’acqua costato 40mila euro». Così il gruppo di opposizione “Progetto per Trivero” boccia il progetto Creative Commons, portato avanti per due anni come laboratorio di multimedialità e punto di aggregazione per i giovani. Una bocciatura che arriva perché, a giudizio di Piero Casula e Lidia Villanova, gli obiettivi che si sarebbero dovuto raggiungere sono stati mancati. Il progetto, spiegano i due consiglieri in un comunicato, si sarebbe rivelato «per quello che chiunque poteva vedere subito: un costosissimo corso di Facebook che è riuscito a coinvolgere con continuità dieci-quindici persone mal contate, alcuni addirittura fuori età. Facendo la media, parliamo di 2500 euro a testa. Una follia».

Tant’è che i due annunciano di voler segnalare questa situazione al Gal (Gruppo di azione locale) “Montagne biellesi”, l’ente che ha per buona parte finanziato l’iniziativa, perché «almeno una volta ogni tanto, anche su questi progetti “sociali” si facessero i dovuti controlli se sono andati a buon fine o meno». L’annuncio arriva dopo che il sindaco ha risposto a una serie di interrogazioni in cui si chiedeva appunto conto dei risultati raggiunti. «La procedura di incarico – scrive “Progetto per Trivero” – merita già da sola una lapide alla memoria: il consorzio di cooperative “Filo da tessere” regala generosamente al Comune il progetto per partecipare a un bando del Gal. Avuto l’ok per il parziale finanziamento, il Comune scopre incredibilmente che l’ente che risponde in ogni dettaglio ai requisiti indicati dal “Filo da tessere” è… il “Filo da tessere”. Che così si prende l’incarico di fornire appunto il personale, cioè la parte più consistente di tutta l’operazione. La generosità paga sempre», ironizza l’opposizione.

Ma al di là di questo, il fatto è che “Creative Commons era partito con alte ambizioni, notano i due: «Si parlava addirittura – citiamo testualmente dal progetto – di “strutturare una aggregazione stabile di giovani che sappia produrre un calendario di iniziative, eventi e programmi annuali che stimolino la curiosità di scoprire, conoscere, comunicare e promuovere il proprio territorio…” E ancora: “Quello che il progetto intende suscitare è lo stimolo ad approfondire la comunicazione in ambito creativo che indirizzi i giovani verso delle opportunità che possano trasformarsi in qualcosa di concreto anche dal punto di vista professionale o imprenditoriale in forma autonoma e/o organizzata”. Il tutto non per chiudere i battenti quando finivano i soldi (due anni) ma per lasciare il segno: il “cambiamento atteso” è “definire un contesto aggregativo riconoscibile e strutturato che in prospettiva sia punto di riferimento continuativo per i ragazzi del triverese”. Parole al vento – chiosano i consiglieri – di cui abbiamo chiesto conto al sindaco, che ci ha risposto con un’altra infornata di nulla».

Per i due consiglieri il dato di fondo è uno solo: «Creative Commons non ha lasciato traccia se non nel fatturato delle solite cooperative del solito consorzio. Sarebbe stato più corretto chiamarlo Cooperative Commons». Da qui appunto l’annuncio di voler segnalare la cosa all’ente che ha approvato il progetto finanziandolo per la maggior parte (il resto erano fondi comunali): si vedrà nei prossimi giorni se la questione, già ampiamente contestata in passato, è destinata ad avere un seguito.

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