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L’Epatite C ai tempi del Coronavirus: uno studio dell’ospedale di Biella

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L’Epatite C ai tempi del Coronavirus: uno studio dell’ospedale di Biella.

L’Epatite C ai tempi del Covid

Collaborazione tra l’Ambulatorio di Epatologia della Struttura Operativa Complessa di Medicina Interna dell’Asl di Biella, la Casa Circondariale di Biella e il Servizio per le Dipendenze patologiche dell’Asl di Biella. Le tre strutture hanno avviato un percorso comune per la cura dell’Epatite C, in un’ottica di sensibilizzazione e riguardo dell’intera popolazione e finalizzata inoltre all’implementazione della telemedicina sul Territorio. Il progetto “L’epatite C ai tempi del Coronavirus: riorganizzare e semplificare la cura” è stato predisposto dal dottor Paolo Scivetti, dell’Ambulatorio di Epatologia dell’Ospedale dell’Asl di Biella, dalla dottoressa Paola Zaldera, referente Presidio Sanitario e Coordinamento Attività Sanitaria della Casa Circondariale, e dal dottor Lorenzo Somaini, direttore della Struttura Complessa Ser.D..

 

Il progetto attua un nuovo modello assistenziale per i pazienti affetti dal virus dell’Epatite C in condizioni sociali disagiate: essenzialmente carcerati e tossicodipendenti in carico al Ser.D.. Le strutture territoriali e ospedaliere hanno individuato, nel proprio bacino d’utenza, un sottogruppo a cui, esclusi una grave fibrosi epatica e altri aspetti clinico-sociali, può essere prescritta una terapia attraverso un visita virtuale senza la presenza del soggetto in ospedale. La prescrizione terapeutica viene quindi inviata alla Farmacia Ospedaliera, che si occupa del recapito dei farmaci alle strutture.

 

È il dottor Scivetti a introdurre l’iniziativa con un quadro generale sull’Epatite C, spiegando che «negli ultimi anni è cambiato il tipo di cura e oggi per tutti è possibile guarire da questa patologia. Chi sa di avere l’Epatite C guarisce, ma almeno la metà dei soggetti interessati in totale non sa di esserne colpito. In tutto ciò ci sono poi persone che rischierebbero di non seguire tutto l’iter della terapia, come quelle in carico al carcere o al Ser.D.. Per questo, con la Casa Circondariale e il Servizio per le Dipendenze patologiche abbiamo attivato una modalità operativa per facilitare la cura di queste persone, alla luce la pandemia in corso e la conseguente necessità di diminuire gli spostamenti in Ospedale per i controlli».

 

Da qui l’idea di sfruttare la tecnologia a disposizione per snellire i passaggi riguardanti alcune tipologie di carcerati e pazienti in carico al Ser.D.. «Le due strutture raccolgono e poi inviano i dati clinici necessari in un sistema aziendale di condivisione protetta – continua Scivetti – I nostri epatologi possono quindi prescrivere la terapia senza bisogno di una visita fisica. Un progetto che, a nostro parere, potrebbe essere applicato ad altre realtà».

 

L’Organizzazione Mondiale della Sanità infatti ha stabilito l’obiettivo di eradicare l’Epatite C entro il 2030, pertanto ai sanitari è richiesta la ricerca attiva dei pazienti; in tal senso, le carceri e gli utenti tossicodipendenti seguiti dai Ser.D. sono due ambiti in cui è più probabile individuare soggetti infetti. «Abbiamo il compito di trovare e curare queste persone in tempi ragionevoli e su una trentina di pazienti candidati al trattamento circa la metà ha fatto una visita virtuale – conclude il medico – È necessario raggiungere questi soggetti perché un utente a rischio per sé è un rischio anche per gli altri».

 

Somaini evidenzia infine la valenza di questa iniziativa per il Ser.D.: «Il Covid ha comportato un rallentamento degli ambulatori di Epatologia, perciò per ottemperare alle direttive OMS sul 2030 abbiamo implementato l’attività con questo database condiviso, per permettere la prescrizione di una terapia senza visita in Ospedale. Con questa modalità abbiamo già trattato una trentina di determinati pazienti e il 98% di questi ha concluso la terapia. Ciò fa ben sperare per il futuro, anche per quanto riguarda le presenze in ospedale».

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