Attualità
”Nuvola” e i migranti in Valsessera: dateci tempo e fiducia
I problemi ci sono e li stiamo affrontando: indispensabile una collaborazione”.
I problemi ci sono e li stiamo affrontando: serve tempo perché sono oggettivamente complessi, ma siamo certi che una maggiore collaborazione tra amministrazione e il territorio potrà dare risultati più rapidi e migliori per tutti.
Questa in sintesi la risposta che Andrea Montagnini, referente dell’associazione “Nuvola”, ha indirizzato all’ex sindaco di Coggiola Angela Maria Pastore che in una lettera aveva sollevato una serie di questioni proprio a riguardo della gestione della “casa dei migranti” di frazione Granero.
In particolare, Pastore lamentava il fatto che i ragazzi apparissero allo sbando e trascorressero il tempo vagando per il paese senza nulla da fare, a volte chiedendo qualche spicciolo: anche perché la mancanza di strumenti per passare il tempo al centro (televisore e wi-fi) e di progetti per impiegare i giovani, il risultato può essere solo questo.
«Ho letto con grande attenzione la sua lettera – risponde Montagnini – e la ringrazio per l’opportunità che offre all’associazione Nuvola onlus di spiegare a tutti i lettori di Notizia Oggi il contesto attuale delle problematiche dell’accoglienza dei migranti e, in particolare, della struttura che abbiamo aperto a Portula, “Camomilla”. In questo momento ospitiamo lì 37 giovani, che sono arrivati negli ultimi venti giorni, con cadenza quasi quotidiana e a piccoli gruppi, mediamente dalle quattro alle otto persone, a cui, ogni volta, viene fatto firmare un regolamento e sono spiegati i loro doveri e i loro diritti. Inoltre al loro arrivo sono forniti di un kit di accoglienza, vestiario e di un bonus di quindici euro, che serve per rincuorare i famigliari sulla propria sorte. Dopodiché ci attiviamo per espletare tutte le formalità burocratiche, tra cui quelle che sono necessarie per avere un medico di base, cosa che richiede un iter, i cui tempi non sono stabiliti dalla nostra associazione, ma sono “tecnici”. Perciò mi sento di rincuorarla; non appena i nostri ospiti avranno tutta la documentazione regolamentare, saranno seguiti da un medico di base, mentre fino ad allora sono affidati ai centri Isi (informazione salute immigrati). Lo stesso si può dire dei pocket money, che sono dovuti dopo almeno un mese di soggiorno».
Poi il referente di “Nuvola” spiega cosa si sta facendo per impiegare utilmente il tempo ai migranti: «I corsi di italiano sono iniziati questo lunedì, si svolgono nella sala tivù, nei tempi e nei modi prestabiliti dal capitolato. Sempre a causa della recente apertura della casa di Portula, il wi-fi (che peraltro non è previsto dalla convenzione stipulata con la Prefettura, ma Nuvola installa in tutte le sue strutture sia per cercare di facilitare le comunicazioni tra i profughi e i propri famigliari, sia per permettere loro di accedere a una maggiore possibilità di informazione) non è ancora attivo, anzi approfitto di questo spazio per sollecitare i tecnici che lo devono attivare».
Il che però non significa che ospitare profughi arrivati da Paesi lontani significa semplicemente aprire un albergo: «Un’importante riflessione vorrei dedicarla all’aspetto culturale – aggiunge Montagnini -. I giovani che ospitiamo a Portula, come anche quelli delle altre strutture, provengono tutti non solo da un altro continente, ma anche da nazioni differenti, tutte con le loro proprie tradizioni e usanze, che sono molto diverse tra loro, così come da quelle italiane ed europee. Ospitarli significa anche insegnare loro a vivere nei nostri paesi e centri, operazione che non solo non è semplice, ma che richiede molto tempo. Non dimentichiamo che sono adulti. L’esempio dei fili da stendere, di cui la casa è dotata, ma che sono nel retro, è emblematico. E’ un fatto banale, ma mi aiuta a semplificare quanto possa essere difficile far cambiare un’abitudine radicata, come quella di mettere i panni sui balconi. Lo stesso si può dire per quello che noi occidentali consideriamo “mendicare” e che, sono d’accordo con lei, non è bello. Ma ciò che ai nostri occhi appare come “mendicare” (che poi spesso è chiedere che venga offerto un tè), per questi giovani è una cultura che si rifà al concetto di scambio».
La conclusione è una porta aperta per favorire il dialogo con il territorio: «Colgo l’occasione, gentile signora Pastore, per invitarla a “Camomilla” a prendere un tè con me e a conoscerci personalmente; chi lo sa, magari, confrontandoci durante quest’ appuntamento, potremmo avere delle idee e creare insieme un progetto a favore dell’accoglienza di questi giovani».
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