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Un incubo durato sei anni e mezzo. Parla il gattinarese coinvolto nei processi sulla sanità lombarda

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«Un incubo durato sei anni e mezzo: ora sono sereno»

Parla il gattinarese coinvolto nel processo malasanità

«Il mio secondo figlio era appena nato, sentii il mondo crollarmi addosso. Ma ero innocente, mi sono difeso studiandomi tutte le carte»

Parla di serenità ritrovata dopo sei anni, cinque mesi e un giorno. Giacomo Di Capua, 41 anni, nel 2015 era capo della segreteria di Mario Mantovani, assessore alla sanità nella Regione Lombardia. Faceva su e giù da Gattinara a Milano per lavoro, era ormai un tecnico inquadrato come dirigente in Regione e stava studiando per fare un ulteriore passo a livello di carriera. Quando all’alba del 13 ottobre del 2015 i finanzieri arrivarono a Gattinara nel suo appartamento dove viveva con la compagna Sarah Gambaro, la figlia di due anni e l’altro bimbo di pochi giorni, il mondo gli è caduto addosso. Dopo venti giorni di carcere e sei mesi ai domiciliari era partito il processo. Un passo alla volta è riuscito a riprendersi in mano la sua vita. La politica è ormai un ricordo, quello che conta ora è chiudere una vicenda difficile grazie alla sentenza di assoluzione della Corte d’Appello.

Cosa si prova dopo questo periodo di indagini e udienze?

Posso parlare di serenità ritrovata dopo quasi sette anni. Non ho rancore verso nessuno, è stato un episodio della mia vita, i problemi li hanno tutti. Io l’ho avuto ed è stato durissimo, ma l’ho superato. Ora tanta voglia di impegnarmi nella famiglia e nel lavoro, oltre che restituire la serenità. Per la Festa del papà ho raccontato ai miei figli quanto successo e loro hanno capito. Mia figlia mi ha detto “Papà, le bugie hanno le gambe corte…”

Originario di La Spezia, ex Forza Italia, viene eletto in consiglio comunale a La Spezia e nel frattempo si trova giovanissimo a lavorare a stretto contatto con Mario Mantovani, eurodeputato, poi l’incarico di sottosegretario alle Infrastrutture fino ad arrivare in Regione Lombardia. Oggi la politica la segue ancora?

La seguo leggendola sui giornali. Ho tanti amici che militano in formazioni anche distanti da quello che era il mio orientamento politico. Ma rimane una parte della mia vita.

Ha ritrovato fiducia nella giustizia?

Ho compreso perché i padri costituenti hanno previsto più gradi di giudizio. Bisogna avere la fortuna di trovare un giudice che abbia voglia di studiarsi le carte e senza di pregiudizio. Solo per la mia posizione c’erano 60mila intercettazioni. Ci sono interi armadi di documenti.

Nel processo in primo grado venne in parte assolto e in parte condannato…

Erano quattro i capi di imputazione a mio carico. Per due, concussione e tentata concussione, venni subito assolto. Per altri due condannato. Era concorso in corruzione per un incarico sotto soglia comunitaria a un professionista in un ospedale. Io da capo della segreteria avevo semplicemente inviato dalla mia mail il curriculum di questa persona al direttore dell’ospedale. Tutto tracciabile. L’altro capo di imputazione era concorso in turbativa d’asta relativamente al trasporto a soggetti necropatici. Anche qui fu un grande equivoco. Voglio precisare che le parole “mazzette” o “tangenti” non ci sono mai state nel procedimento penale, non sono mai state citate. La vicenda giudiziaria non ha mai avuto una piega di tipo economico. Non si cercavano i soldi, ma i documenti.

Cosa le ha lasciato questa esperienza?

Mi sento un uomo migliore e mi ha fatto maturare, mi ha fatto dare il giusto valore al lavoro e alla politica. Però ho ritrovato una fiducia nei confronti dello Stato e della giustizia. Ho avuto un processo d’appello giusto. In questi anni ho cercato di fare le cose in modo riservato, ci sono state 75 udienze in sei anni e non ne ho persa una.

Com’era Giacomo Di Capua nel 2015?

Ero un giovane in carriera, ambivo a un percorso di tipo pubblico. Quando sono andati a perquisire il mio ufficio in Regione hanno trovato i volumi su cui stavo studiando per la preparazione dei concorsi. La mia idea era di lasciare progressivamente la politica e già lo stavo facendo. Avevo un Master sugli enti pubblici. Avevo un profilo tecnico e non mi occupavo del convegno politico, mi occupavo di determine e delibere già da anni. Ero inquadrato come dirigente in Regione.

Oggi cosa fa nella vita?

Sono tornato nell’ambito socio-sanitario nell’azienda in cui lavoravo prima dell’incarico in Regione. Subito dopo lo scoppio della vicenda ho passato un anno e mezzo a studiare le carte del processo. Solo se conoscevo le carte potevo difendermi. Nel 2017 sono tornato nell’ambito socio sanitario e sono ripartito a fare la gavetta, la seconda della mia vita. Poi sono riuscito a proseguire la mia carriera lavorativa. Fortunatamente alla famiglia non è mai mancato nulla. Abbiamo sempre lavorato. Impegno, costanza, cultura del lavoro sono gli aspetti che mi hanno accomunato con la mia compagna Sarah Gambaro.

Quanto è stata importante la sua famiglia?

Mio padre era ufficiale di Marina. Ho avuto sempre una educazione molto rigida, c’è sempre stata una grande attenzione dei miei genitori all’onestà. Quando ci siamo visti in carcere ho trovato tutto il conforto, ma anche l’esigenza da parte dei miei genitori di voler capire per avere una opinione. Dopo un mese mio padre ha acquisito tutte le informazioni dall’avvocato e mi ha detto che non avevo commesso alcun reato. Mi sono convinto che sarei riuscito a dimostrare la mia innocenza. Grazie al mio avvocato siamo riusciti a dimostrare che ogni accusa della procura non aveva fondamento, ma questo solo tramite il materiale che era depositato dalla procura stessa.

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