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«Dicevano che non avevo speranza e invece sono tornata a vivere»

La toccante testimonianza di una valsesiana: la sua esistenza è cambiata una mattina mentre andava a lavorare.

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«Dicevano che non avevo speranza e invece sono tornata a vivere». La toccante testimonianza di una valsesiana: la sua esistenza è cambiata una mattina mentre andava a lavorare.

«Dicevano che non avevo speranza e invece sono tornata a vivere»

Era il giorno successivo a San Valentino, quasi esattamente 23 anni fa. Una donna esce di casa e sale in auto per andare a lavorare. Ha un incidente banale, un tamponamento. Ma succede qualcosa nel suo cervello: i medici del “Niguarda” pensano che non sarebbe sopravvissuta.

Invece una dottoressa tenta comunque un intervento: e dopo un lungo periodo di convalescenza e riabilitazione, la donna torna a vivere, seppure con qualche strascico di quel terribile episodio. Si tratta di una donna che abita in bassa Valsesia e che ha scritto al nostro giornale per raccontare questa storia, ma anche per lanciare un messaggio: la vita è bella, e vale sempre la pena combattere per superare le difficoltà.

Ecco il racconto che ci ha lasciato la donna. Ha chiesto di mantenere l’anonimato perché altri non si sentissero coinvolti. E in effetti, è una storia molto personale, anche se tocca tutti.

L’incidente

Anni fa ero felice con la mia famiglia. Il 15 febbraio del 2001, alle cinque del mattino ho fatto colazione e ho guardato il regalo che mi aveva fatto mio marito per San Valentino: una maglietta e i pantaloni da spinning. Woow. Mia figlia era malata , aveva la febbre. Ho baciato mio marito e la mia piccola pasticciona, diminutivo con cui la chiamavo, e sono salita in macchina per andare al lavoro.

Ero ferma allo stop, quando una macchina sbandando mi è venuta addosso. Il signore che mi ha tamponato scendendo dalla sua macchina mi ha aggredito dicendo che si era rotto un dente. Nella confusione del momento mi sono scusata ma poco dopo sono svenuta. Quello che è successo dopo non me lo ricordo più. Ho dormito a lungo.

Mia sorella, mio marito e mia zia sono venuti a Borgomanero, dove ero stata ricoverata e successivamente sono stata trasportata a Milano al “Niguarda”. I dottori vedendo le mie condizioni hanno detto che non sarei sopravvissuta. Una dottoressa si è impuntata e ha tentato di operarmi al cervello lo stesso. Tutta la mia famiglia ha pregato. Ho dormito, ho sognato la nonna di mio marito che mi diceva di non piangere e che la vita è molto bella.

Fuori dal coma

Quando mi hanno fatto uscire dal coma indotto, non parlavo e non mi muovevo, continuavo a piangere. Non avevo più lacrime. Successivamente mi hanno trasferita a Veruno dove ho fatto fisioterapia e logopedia, ero molto stanca e non riuscivo a parlare. La dottoressa che mi seguiva per la fisioterapia mi incitava a ripetere gli esercizi anche quando ero allo stremo, credeva nel mio recupero.

Tutte le volte che ho camminato ho provato delle emozioni forti. Però non riuscivo a parlare, non era possibile anche se continuavo a sforzarmi. Tutti mi raccontavano di mia figlia che all’epoca aveva cinque anni ed era stupenda e mi dicevano che era felice.

Un giorno di maggio di quell’anno, ero ancora in clinica, mia sorella è venuta in camera e mi ha truccata, insieme siamo scesi in giardino e ho trovato ad aspettarmi i miei e la piccola “pasticciona” come io chiamavo mia figlia Io ero seduta sulla carrozzina e non riuscivo a parlare, siamo scoppiate a piangere e mia figlia non ha voluto avvicinarsi a me. Alla sera, non riusciva a staccarsi

Il ritorno a casa

Dopo otto mesi, finalmente, sono tornata a casa, ma non parlavo però camminavo da sola. Ho sempre fatto fisioterapia e logopedia a Veruno, dopo parecchi esercizi riuscivo a dire poche parole, ed ero arrabbiatissima Mio papà e mia zia mi accompagnavano a Veruno, e mia zia a casa faceva con me gli esercizi, era dura. La zia sarà sempre una “mammetta” speciale.

Dopo qualche anno dall’incidente mia mamma è andata in cielo, da dove ci protegge. Mia mamma è stata una donna vera e testarda che ha saputo sperare e lottare ma… ahimè, non ce l’ha fatta. Ho pianto da morire. Mio marito e io dopo diversi anni ci siamo lasciati, ma abbiamo deciso di rimanere uniti grazie a una splendida figlia.

Si ritorna a vivere

Sono andata a Vercelli a rifare la patente. E che emozione, sono ritornata a guidare la mia piccola macchina. Sono andata a imparare a nuotare e quindi ho vinto la paura che avevo dell’acqua. In primavera mia cugina mi ha fatto salire sul suo cavallo Califfo, che meraviglia. Quindi ho preso lezioni di equitazione. Mi sono divertita un mondo, i cavalli sono intelligenti e capiscono l’umore del padrone. Quando andavo a cavallo davo loro le carote e li accarezzavo.

Un giorno, andando al galoppo, sono scivolata e mia sorella mi ha fatto smettere. Io quest’estate andrò a cavallo con la mia maestra, ma non galopperò più. Ho fatto le vacanze da sola con le amiche a Zanzibar, in Sicilia, in Grecia e in diversi altri posti.

I ringraziamenti

Adesso che vi ho raccontato la mia storia voglio ringraziare in primis mia figlia perché è eccezionale e mi è stata accanto, mia mamma che è stata una vera mamma e sarà sempre nel mio cuore, mio papà perché è sempre stato presente. Un grazie alla mia sorellina perché ha saputo sostenermi e aiutarmi e grazie a mia zia che è stata con me una grande donna. E un grazie anche ai miei suoceri e a mia cognata.

Infine voglio ringraziare il mio ex marito che mi è stato accanto nei momenti più bui e mi ha fatto il regalo più bello della nostra vita: nostra figlia. Questo legame che ci unisce è forte e ci aiuta ancora adesso a superare le difficoltà. Ringrazio la dottoressa del “Niguarda” che mi ha salvata operandomi anche se adesso è mancata, e tutti i miei veri amici che sono fantastici e non mi fanno sentire diversa, perché la disabilità è negli occhi di chi guarda.

La vita ti mette davanti tantissimi ostacoli, ma dobbiamo sempre pensare che è preziosa e combattere per superarli, come ho fatto io.

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