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Ricordi di guerra a Serravalle: il coprifuoco del 1945
Attraverso le parole di una bambina di allora, Mirella Morre
Un tuffo nella Serravalle di 72 anni fa attraverso i ricordi di Mirella Morre, allora bambina, che nonostante abiti da molti anni a Prato Sesia porta sempre nel cuore il suo paese natale: «Una Serravalle molto diversa – sottolinea la studiosa Piera Mazzone -, con una passerella che scorreva sopra al binario sul quale passava il treno che andava in Cartiera. Le palazzine erano le case popolari assiepate lungo quella che oggi è la Circonvallazione. I ricordi, nonostante siano trascorsi molti anni, fluiscono nettissimi, negli occhi pare scorrere il film di quell’infanzia che conviveva con la guerra, ma che non ammutoliva, si adeguava semplicemente ai tempi. Allora, mi racconta Mirella, le persone si conoscevano tutte, i bambini giocavano nei cortili e nei prati, la guerra era volutamente tenuta sullo sfondo, ciascuno celava la preoccupazione per ciò che sarebbe accaduto, non se ne parlava quasi per voler scongiurare il pericolo, proprio come accadde la mattina del rastrellamento in Cartiera». Era il 27 febbraio 1945.
«Quel giovedì mattina faceva ancora freddo – scrive Morre -, ma con le mie amiche eravamo andate nei prati vicini alle Palazzine per cercare ciuffi di cicoria, raccogliere i primi fiori che timidi si affacciavano dopo l’inverno: primule e margheritine. Eravamo contente di quel nulla che preannunzia la primavera e chiacchieravamo garrule come uccellini: “Ho già fatto i compiti, ma devo ancora studiare la lezione: è una poesia intitolata Pioggerellina di marzo, non è facile da imparare”. Ad un tratto tutto intorno calò il silenzio, davanti a me che ero chinata a cogliere un ciuffo di primule, si materializzò minaccioso un paio di stivali neri, li indossava un soldato tedesco, il suo volto non potrò mai dimenticarlo. Le mie amiche non c’erano più, erano già scappate, il tedesco gridò: “Raus, via, a casa, coprifuoco”. La paura mi paralizzava, ma trovai un filo di voce per dire: “Ma sono solo le nove!”. Lui replicò gridando ancora più forte: “Raus, raus, raus, coprifuoco, coprifuoco, coprifuoco”. Finalmente i miei piedi risposero al cervello e di corsa scattai verso casa, dove sarei stata a sicuro. La mamma mi accolse, cercando di tranquillizzarmi, anche lei non conosceva il motivo di quel coprifuoco anticipato. Affacciandosi con circospezione alla finestra del primo piano disse che aveva scorto militari tedeschi e repubblichini ovunque: due erano sulla passerella, quattro su quei massi circolari di granito, alcuni sulla scalinata della passerella, altri disposti intorno alla stazione. Perché ovunque c’erano militari? Chissà mai che cosa si stava preparando? La mamma faticò parecchio a tenerci lontano dalle finestre. A mezzogiorno il papà non rincasò, subito ci chiedemmo la ragione di quel ritardo. Ad un tratto si udì un forte sparo: era un militare che per gioco aveva sparato su uno di quei grossi massi circolari. Il tempo si era fermato, ci guardavamo l’un l’altro e leggevamo negli sguardi la paura per la sorte del nostro Papà.
Nel pomeriggio i militari rimasti dissero; “Coprifuoco finito, venite fuori”, le nostre mamme si avvicinarono ai soldati chiedendo spiegazioni: loro, sghignazzando risposero: “Rastrellamento in Cartiera, tutti prigionieri e in fila li portiamo a Borgosesia, cerchiamo i ribelli”, poi se ne andarono, lasciandosi dietro una scia di paura. Ricordo ancora gli occhi delle nostre mamme che si guardavano l’una con l’altra, senza profferire parola, poi arrivò trafelato il Sandrin, piangeva dicendo alle nostre mamme e a noi: “Li hanno portati via tutti in fila, indirizzandoli verso Borgosesia, anche il Vittorio, lo Stefano, tutti. Solo noi più anziani siamo stati lasciati liberi”. Avevano preso anche il mio papà. Mestamente ciascuno rientrò nelle proprie case e la mamma con tanto coraggio ci disse: “State tranquilli, il papà tornerà a casa presto, adesso mangiate la minestra, finite i compiti, come sempre lavatevi e dite le preghiere prima di andare a dormire” e ci augurò la buona notte, come tutte le sere, senza lasciar trasparire la sua angoscia. Il mattino dopo Maria Antonietta, la sorella più grande, andò in bicicletta a Borgosesia per cercare di avere notizie del papà. Lo vide fra due repubblichini, lui le gridò: “Fila a casa, mi hanno appena interrogato, vogliono mandarmi a lavorare in Germania”. Finalmente passò anche quel giorno di incertezza sulla sorte dei nostri cari e arrivò il sabato. Non so come si era diffusa la notizia, la mamma, raggiante di felicità, ci disse: “Andiamo tutti ad aspettare il papà: li hanno liberati”. Ci ritrovammo tutti in strada, vicino alla Casa di Riposo e arrivati alla “Montà” si levò un coro di voci festose: “Papà, papà…” finalmente erano ritornati: la mamma aveva avuto ragione».
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