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Cognetti ai valsesiani: «Io amo la vostra terra, non confondiamo un romanzo con la realtà…»

Lo scrittore protagonista del “caso” della settimana spiega la sua posizione: «Anche Los Angeles non è quella di Blade Runner».

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Cognetti ai valsesiani: «Io amo la vostra terra, non confondiamo un romanzo con la realtà…» Lo scrittore protagonista del “caso” della settimana spiega la sua posizione: «Anche Los Angeles non è quella di Blade Runner».

Cognetti ai valsesiani: «Io amo la vostra terra, non confondiamo un romanzo con la realtà…»

«Gentile direttore, vi scrivo in merito alle polemiche sorte ieri dopo le mie dichiarazioni sulla Valsesia a Radio DJ. Vorrei innanzi tutto spiegarvi che il programma di Linus e Nicola Savino ha una forte connotazione ironica, e che si stava scherzando. In pochi secondi ho tratteggiato la Valsesia come il luogo ideale dove ambientare un romanzo noir: perché piovosa, ombrosa, nel fondovalle rovinata dal cemento (come tutte le vallate alpine in Piemonte e Lombardia e come la stessa Valle d’Aosta). Pensate alla Los Angeles di Blade Runner: un posto dove è sempre notte e piove sempre. E chiedetevi se il sindaco di Los Angeles abbia mai protestato con Ridley Scott. Chi ha sollevato polemiche, inoltre, non ha evidentemente letto il libro: nella storia la protagonista donna, Elisabetta, abbandona Milano da ragazza per amore di un montanaro e della sua valle, dove vive ormai da quindici anni. E’ innamorata di quella che per lei è una valle dura, sì, ma bellissima e selvaggia.

Personalmente, frequento la Valsesia da quando ero bambino. Nella seconda metà degli anni Ottanta salivo all’Ospizio Sottile da Gressoney con mio padre, ed ebbi la fortuna di conoscere il gestore storico di quel rifugio, Marino Carmellino, che lo custodiva da trent’anni. Mi impressionò, io bambino, perché aveva solo due dita nella mano destra, il pollice e il mignolo, e una sera in rifugio mi raccontò che l’indice e il medio li aveva persi in un incidente, ma l’anulare, sano, glielo aveva amputato il chirurgo. Erano gli anni della Seconda Guerra Mondiale e in quel modo il chirurgo gli evitava la chiamata alle armi (senza due dita si partiva lo stesso). Ridendo mi disse: vedi, ora sono vecchio e magari questo dito che mi manca mi ha salvato la vita! Capite bene che un bambino un ricordo così non se lo può dimenticare.
Al Sottile sono poi tornato, come ho raccontato nel Ragazzo Selvatico, per diversi anni. Avevo due grandi amici lì, Andrea e Davide, a cui “Giù nella valle” è dedicato. L’ho dedicato a due uomini della Valsesia, come potrei volerle male? Loro mi ospitavano in rifugio come un fratello, io gli davo una mano in cucina, e nelle tante settimane trascorse lassù ho conosciuto moltissimi amici di Alagna, Riva Valdobbia, Scopa e giù fino a Varallo. Quei posti li ho battuti tutti camminando, ci arrivavo da Estoul a piedi scendendo a Gressoney dalla Ranzola. E poi una volta passavo per il vallone di Loo e giù fino a Rassa (mi ricordo una volta in cui Heidi mi diede un passaggio fino a Sant’Antonio), un’altra per il Maccagno e poi la Val Vogna, un’altra ancora per Otro, un posto magnifico. Io dico sempre che ho tre valli nel cuore: la Val d’Ayas, la Valle del Lys e la Valsesia, tre valli del Monte Rosa che è la nostra comune montagna-madre.

Di Andrea conosco anche una storia più lunga perché lui è Andrea Carestia, erede della storica dinastia che ha custodito l’Istituto Scientifico Mosso fin dalla sua fondazione, nel 1907. Prima il bisnonno, poi il nonno, poi il padre Marco che ho conosciuto, ma ad Andrea toccò saltare il turno per via dell’incendio che distrusse il Mosso nel 2000, e al cui spegnimento lui stesso partecipò. Ho letto tante cose su quel posto dove sono stato spesso, e su quella valle tutta, e so che lì ho due fratelli, anche se uno è in Inghilterra e con l’altro non ci sentiamo mai.
Ma ho scritto un noir, caro direttore. Abito nella Regione di Rocco Schiavone. A leggere Manzini si direbbe che in Valle d’Aosta abbiamo tre omicidi al giorno e un serial killer la settimana. Ci ridiamo sopra, ci appassioniamo alle sue avventure, e un po’ ci godiamo anche il turismo che ci porta. Sapete che arrivano i pullman di turisti a cercare i luoghi di Rocco Schiavone? Spero di fare lo stesso con la Valsesia, e che il prossimo film sia ambientato lì. Un abbraccio, con grande amicizia».

Paolo Cognetti

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