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Ivan Camurri: moglie e figlio mi danno la forza per lottare

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Ivan Camurri: la leucemia affrontata come un trail.

Ivan Camurri: moglie e figlio mi danno la forza

Testa, cuore e motivazione. Ivan Camurri sta affrontando la sua battaglia contro la leucemia come un trail, come una corsa in montagna, la sua grande passione che lo ha visto spesso protagonista. E a motivarlo c’è una intera famiglia e il piccolo Francesco nato da poco. Era dicembre dello scorso anno quando il runner di Alagna scoprì la malattia, uno choc improvviso. Sono stati mesi lunghi di terapie, di speranza, ma anche di sorprese: dal matrimonio in ospedale alla nascita del piccolo. La battaglia non è finita. Ci sono i controlli da fare ogni settimana per tenere i valori nella norma. Ma c’è tanta voglia di tornare a correre e alla normalità.

Ivan, come hai scoperto la malattia?

Era dicembre dello scorso anno. Iniziai a sentirmi stanco. Anche negli allenamenti non andavo più come prima. Poi ho avuto una tonsillite che non passava più. Un giorno decisi di andare al pronto soccorso, e dagli esami del sangue i medici capirono che qualcosa non andava e mi hanno subito portato a Novara. Leucemia mieloide acuta: è stato subito uno choc. Da quando a Novara mi hanno messo in isolamento, ho affrontato cure che buttano giù tutti i valori.

È iniziata la terapia. Quanto è stata difficile?

Tanto, e non è ancora finita. Ero in una stanza da solo. Ho fatto il primo ciclo di sei settimane che non ha funzionato e poi sono tornato a casa qualche giorno, poi altro ciclo, e nemmeno questo ha funzionato. Al terzo, che era l’ultimo, ero agitato. Fortunatamente è andato per il verso giusto. Subito hanno chiamato l’ospedale di Alessandria per il trapianto di midollo, ma purtroppo non c’erano donatori compatibili.

Poi ci ha pensato mamma Gisella.

Si. Ho la fortuna di avere i genitori ancora giovani. E il midollo di mia mamma era compatibile per un 50 per cento. I medici hanno deciso di provarci. Ad Alessandria ho subito una chemio che mi ha buttato giù tutti i valori, quindi si è proceduto al trapianto di midollo e ha attecchito subito. Ma ero a pezzi, mi alzavo la mattina per fare la doccia e poi crollavo a letto. Dopo un mese i valori hanno iniziato a salire, sono stato dimesso per tornare a casa. Da dicembre ad aprile però sono stato sempre in ospedale.

Cosa ti ha aiutato nei momenti difficili in una stanza di ospedale?

Dovevo stare in isolamento perché i miei valori erano davvero bassi. Agnese, mia moglie, veniva a trovarmi e mi dava una forza incredibile. È stata grazie a lei se ho resistito. Sono sempre rimasto positivo.

Poi è arrivata anche la notizia che Agnese era incinta…

Sì, l’abbiamo scoperto cinque giorni dopo che mi avevano diagnosticato la malattia. Anche la consapevolezza di diventare presto padre mi ha aiutato.

Prima della malattia il tuo nome era sempre tra i top nei trail. Quanto ti ha aiutato questo sport?

È uno sport dove sei abituato a soffrire e lottare, e psicologicamente ha fatto molto. Devi prendere la forza, stare in una camera di ospedale tutto il giorno non è facile. Il tempo non passa più. Sono rimasto sempre positivo e le persone che mi mandavano un messaggio mi aiutava a superare i momenti di sconforto. Il trail è uno sport fisico ma il 70 per cento lo fa la testa. Affrontare la malattia è stato un po’ come correre un trail: hai l’obiettivo di arrivare al traguardo, soffri ma sai che prima o poi finisce.

Nel frattempo anche in ospedale hai continuato a vivere: ti sei anche sposato con Agnese.

Era l’ultimo ciclo di chemio. Non sapevamo ancora l’esito della cura. Lei era incinta già di qualche mese e abbiamo deciso di sposarci. Pensavamo che fosse un po’ triste farlo in ospedale, ma non potevo uscire. Alla fine è stato intimo, ma bello. Mi ha trasmesso una grande positività. Dopo tre giorni dal matrimonio ho scoperto che la cura aveva funzionato.

Adesso com’è la tua vita?

Ogni settimana vado a fare gli esami del sangue. Ho avuto un periodo di valori bassi, ma poi si sono stabilizzati. Viviamo tra Alagna e Biella (città dove Agnese Valz ha casa, ndr). Siamo una famiglia serena, abbiamo un bambino fantastico che sta crescendo e vederlo mi dà una grande carica. Per ora niente sport, qualche camminata la facciamo, ma non posso sudare o fare troppi sforzi. Cosa sogno? Già tornare a lavorare e ad allenarmi sarebbe un lusso. La battaglia non è ancora finita, ma sento davvero tante persone vicino a me che mi danno la giusta forza. Voglio ringraziare i medici che mi hanno seguito e mi stanno seguendo. Infine un invito: donate il sangue o midollo, può davvero salvare una vita.

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