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Muore in Libia, il corpo torna a Roasio dopo due mesi e mezzo

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Muore in Libia

Muore in Libia: la famiglia di Alain Onesti ha dovuto attendere oltre due mesi per potergli dare l’ultimo saluto.

Muore in Libia, bloccato il rientro

Una lunga odissea per potere dire addio a una persona cara: la famiglia di Alain Onesti ha potuto celebrare solo ieri le sue esequie. Il 67enne di Roasio infatti era morto due mesi e mezzo fa in Libia dove si trovava per lavoro, ma a causa del Covid, della guerriglia e di lungaggini burocratiche la sua salma è rimasta a lungo in una cella frigorifera in attesa di una soluzione. La famiglia, rimasta a Roasio, in questi mesi ha cercato in tutti i modi di riportarlo a casa. Alla fine grazie all’imprenditore che l’aveva chiamato per l’incarico in Libia la bara è tornata finalmente in Italia.

In contatto

Come tanti cittadini di Roasio anche Alain Onesti lavorava in Africa. Doveva fermarsi fino a marzo in una raffineria poi era arrivata l’emergenza Coronavirus e l’uomo era rimasto bloccato. Con la moglie Angela Micheletti e i figli i contatti erano continui tramite video chiamate anche durante il periodo Covid: a metà maggio Alain aveva spiegato di non sentirsi bene. Era il 15 maggio quando il 67enne venne ricoverato in ospedale di Gialu, vicino a Bengasi, alla famiglia aveva detto di aspettare il responso. Due giorni dopo la morte: un cancro fulminante non gli ha lasciato scampo. Il rimpatrio sembrava fosse cosa fatta. Ma sono iniziati ad esserci una serie di complicazioni: prima la mancanza di certificazioni, poi una serie di scuse. La famiglia ha iniziato a muoversi tramite i contatti istituzionali sentendo la Farnesina, ma non c’è stato verso.

Il ritorno

«Riportiamo a casa papà», tira un sospiro di sollievo ora la figlia Aline. Per lei, il fratello Olivier e mamma Angela è la fine di un incubo durato davvero troppi mesi. Nei giorni scorsi Roberto Bolleri, direttore della “BaderOya Oilfield Services”, che aveva voluto Alain Onesti in Libia per lavoro, ha preso l’iniziativa facendo caricare la bara su un carro funebre che di notte ha attraversato il deserto libico fino a giungere a Tripoli. Da qui il viaggio in Turchia e quindi in Italia. Per mesi la famiglia si è battuta per trovare una soluzione: «C’era sempre una scusa. Finalmente finisce un incubo e ora potrà riposare in pace». Anche la moglie Angela aveva reso pubblica la vicenda: «Ci vedevamo tutte le settimane tramite video chiamate fino a quel giovedì 15 maggio quando la linea internet non ce lo ha permesso. L’ho sentito solo al telefono e mi aveva detto di non stare bene. Trascorsi pochi giorni poi mi hanno avvista della sua morte. Un cancro lo ha portato via».
Arrivano le condoglianze da parte dell’amministrazione comunale: «Finalmente la famiglia può riabbracciare il proprio caro, spiace che si sia dovuto attendere così tanto tempo».

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