AttualitàVarallo e alta Valsesia
«Fuggita da Israele, non posso sopportare quello che sta facendo»
La testimonianza di Irit, che ha preferito lasciare il suo Paese, il figlio e la casa.

«Fuggita da Israele, non posso sopportare quello che sta facendo». La testimonianza di Irit, che ha preferito lasciare il suo Paese, il figlio e la casa.
«Fuggita da Israele, non posso sopportare quello che sta facendo»
Una valigia. Il cuore spezzato. E la consapevolezza che tornare indietro, almeno per ora, non sarà possibile. Irit Ben Moshe, classe 1955, è arrivata in Valsesia dopo una vita in Israele, dove è nata e cresciuta. Di professione programmatrice informatica, oggi è in pensione e vive a Varallo da alcuni mesi, dove ha scelto di stabilirsi definitivamente. Una scelta fatta non per caso, né per avventura. Ma per necessità. Una necessità profonda, personale, quasi fisica. Quella di sopravvivere alla guerra, alla perdita, alla delusione, alla frattura con la propria terra.
«Due cose mi hanno portato a lasciare il mio paese. Non posso più vivere là. Il cuore non può sopportare quello che sta accadendo. Vengono commessi crimini, azioni di genocidio. E poi non sono d’accordo con ciò che i governanti promuovono: è da cento anni che ci viene proposta una narrazione distorta e unilaterale. Ma se prima certe cose venivano nascoste, oggi sono sotto gli occhi di tutti».
Le parole di Irit sono chiare, ferme, dolorose. Non c’è odio, ma nemmeno indulgenza. Solo una lunga elaborazione interiore che l’ha portata, col tempo, a mettere in discussione ciò che le era stato insegnato fin da bambina.
“Ho iniziato a farmi domande”
«Sono nata nel 1955, dopo la lotta del 1948. Siamo cresciuti con l’idea che quella terra fosse solo nostra. Ma poi ho iniziato a farmi domande. Ho cominciato a leggere, a studiare. Nelle scuole ci dicevano che prima lì c’era un deserto, e poi è nato Israele. Ma non era così. Prima c’era la Palestina. Una terra, una cultura, un popolo. E dobbiamo tenerlo presente».
Col tempo, Irit ha maturato una posizione netta, che l’ha messa spesso in minoranza, persino tra i suoi connazionali.
Fanatici al governo
«Al governo di Israele oggi ci sono ebrei fanatici, che non rappresentano il credo ebraico, né la vera etica ebraica. Hanno deformato i testi sacri, li usano come scudo ideologico. Una volta esisteva una forma di sionismo che ammetteva la vita condivisa tra israeliani e palestinesi. Oggi è un sionismo radicale, che esclude, che attacca, che distrugge. È un governo autoritario che crea deliberatamente disordini, tensioni, morte».
Non è facile per Irit parlare di questo. I legami con la sua terra sono profondi, non solo affettivi, ma anche culturali, sensoriali.
«Ho lasciato là mio figlio, i cugini, gli amici. Ma anche il sole, il vento, la natura, le abitudini, la lingua, la cultura, il cinema. Lasciare Israele per me non è stata una fuga, ma una scelta inevitabile.
Continuare a vivere lì, con quello che vedevo accadere ogni giorno, significava soffocare. Non riuscivo più a tollerare i soprusi, la violenza, soprattutto quella verso le persone indifese. E così ho deciso».
Un nuovo inizio in Valsesia
A portarla in Valsesia è stato un programma di accoglienza per stranieri. Un’opportunità che ha trasformato quella che sembrava una tappa temporanea in una scelta di vita.
«In Valsesia mi trovo molto bene. Non ho mai vissuto episodi di razzismo, anzi. Qui la gente è cordiale, ci ascolta, ci rispetta. Molti si dispiacciono sinceramente per ciò che sta accadendo in Israele e Palestina. C’è empatia, e non è scontato».
La comunità di origine israeliana presente sul territorio non è numerosa, ma vive unita. «A Varallo siamo in pochi, ma vicini. Alcuni di noi hanno perso i cari, specialmente durante gli attacchi del 7 ottobre. Siamo ancora traumatizzati. Le immagini che abbiamo visto, le notizie, gli amici che non rispondono più al telefono… tutto resta dentro».
“Qui c’è umanità”
Di recente, Irit ha adottato un cagnolino di cinque mesi, proveniente dal Sud Italia. Anche lui, come lei, porta addosso le tracce di un passato difficile. «È stato maltrattato. È molto spaventato, ha bisogno di tempo, di cura, di silenzio. A volte penso che ci somigliamo. Anche noi siamo così. Ma qui, in Valsesia, c’è umanità. E questo ci aiuta».
Grazie alla sua esperienza a Milano negli anni Novanta, Irit parla fluentemente l’italiano. Ma molti degli stranieri arrivati recentemente da Israele non conoscono la lingua. Ed è anche per questo che Irit, insieme ad altri, ha deciso di impegnarsi nell’associazione Baita.
L’associazione Baita
«Con Baita promuoviamo attività di integrazione e inclusione. Cerchiamo di aiutare chi arriva a sentirsi meno solo, a trovare un posto. Facciamo corsi, incontri, momenti di ascolto. È importante non restare ai margini, soprattutto quando si è appena arrivati in un paese nuovo e non si ha niente».
Tornare in Israele? «Non credo. Non ora. Ci sono molte persone che manifestano contro il governo ogni sabato sera nelle piazze delle città e vengono organizzati diversi tipi di lotta non violenta, come le camminate affollate di gente vicino al Parlamento anche durante la settimana. La gente si impegna veramente. In queste forme di lotta partecipano gli israeliani che chiedono una democrazia. Però ci sono anche fra di loro persone che supportano le azioni terribili che Israele fa a Gaza. Allora diventa ancora più difficile per me. Le azioni violente del governo, le repressioni, la chiusura… la situazione diventa tragica. Non solo per i palestinesi, ma anche per gli israeliani che vorrebbero una pace vera. Non ce la faccio a tornare. Ho deciso di comprare casa qui, a Varallo».
La scelta di vivere in un territorio di montagna, lontano dai centri urbani, può sembrare insolita. Ma per Irit, è stato un approdo naturale.
La Valsesia come rifugio
«La Valsesia per qualcuno è una terra sperduta. Ma anche se fosse così… noi siamo i più sperduti. E questa valle ci ha accolti. Ci ha dato un tetto, ascolto, dignità. Qui c’è un’umanità profonda che spesso nelle città si perde».
Nel suo sguardo, nonostante tutto, non c’è disperazione. C’è dolore, certo. Ma anche un sottile senso di rinascita. «Qui i giovani se ne vanno per studiare e spesso non tornano. Altri decidono di non avere figli. Ma c’è anche chi resta, chi resiste, chi costruisce. Anche noi cerchiamo di farlo, giorno dopo giorno. Con piccoli gesti, con rispetto, con pazienza. Non si può restare indifferenti. Davanti al dolore, bisogna scegliere. Anche se costa tutto».
Questa frase, che Irit ripete con convinzione, riassume la sua storia e la sua battaglia interiore. Il racconto di una donna che ha avuto il coraggio di mettere in discussione ciò che sembrava intoccabile, e di scegliere la verità, anche se fa male. Una storia di coscienza, perdita e ricerca di pace, in un angolo di montagna dove il dolore può, almeno in parte, trovare tregua.
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anonimo
22 Settembre 2025 at 14:46
la valsesia è un territorio ambientalmente rigoglioso.
un insieme di luoghi diversi ma comunicanti, in grado di dare serenità ed integrazione, per una vita ed uno spirito di pace.
David
23 Settembre 2025 at 13:24
…e soprattutto è fatta da gente piuttosto riservata, come bene o male lo sono i piemontesi in generale
Ardmando
23 Settembre 2025 at 8:04
Forza Israele, fino alla vittoria finale.