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Cercatori d’oro lungo il Sesia: c’è chi ci prova ancora

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Ultima traccia di quella che è stata la stagione delle miniere in Valsesia

Nelle montagne della Valsesia ci sono ancora tracce di oro, ma una quantità non così importante da riuscire a giustificare un investimento per rilanciare l’attività in chiave turistica (e men che meno industriale).

Eppure la corsa all’oro in alta Valsesia prosegue, soprattutto nella zona di Alagna. Non più le storiche miniere, ma nell’acqua. Lungo il Sesia si danno ancora appuntamento i cercatori di oro (pochi, in verità) per mettersi alla ricerca di piccole quantità di metallo prezioso. Ma più che altro questa attività rappresenta una passione.

Non mancano studi approfonditi sulle miniere di oro di Alagna Valsesia. Per esempio, Giuseppe Pipino è il fondatore del Museo storico dell’oro italiano e ha dedicato gran parte della vita a scoprire miniere d’oro nella Penisola, concentrandosi anche in Valsesia: «Le miniere d’oro di Alagna furono scoperte nel 1500 per essere poi oggetto di concessioni nel 1600 e più avanti attivamente coltivate per diretto esercizio demaniale da parte dello Stato Sardo sotto la competente direzione di Robilant. Dopo di allora vi furono diversi tentativi di ripresa, presto però abbandonati».
Le ricerche storiche hanno portato alla luce la miniera Kreas, dove si trovava la vecchia officina per lavorare il materiale; il filone Mud a 2120 metri di altezza sopra l’omonimo alpeggio; il filone Jazza, con tre gallerie. «Qui – spiega Pipino – fu riscontrata una zona terrosa-argillosa-limonitica particolarmente ricca in oro». E c’è un aspetto non trascurabile: «Sul fiume Sesia è accertata la possibilità di trovare oro».

Della “corsa all’oro” in Valsesia rimangono le antiche costruzioni utilizzate per la lavorazione o per il ricovero dei minatori. La “Fabbrica di San Lorenzo” ad Alagna è quanto rimane dei tre fabbricati che componevano il Kreas, quartiere dell’oro nel tardo Ottocento. Qui il minerale, proveniente dalle miniere di Mud, Jazza e del vallone delle Pisse veniva macinato, separato con il mercurio, quindi rifuso più volte per eliminare le scorie. Nei primi Novecento, ogni giorno venivano depurate circa 50 tonnellate di minerale dalle quali si ricavava poco meno di un chilo d’oro. L’attività andò avanti fino al 1958, quando la miniera chiuse.
Come detto, oggi arrivano soltanto appassionati hobbisti, e la ricerca si è concentrata nel fiume. Ma ancora fino a 60 anni fa si discuteva di progetti. Il professor Gianni Molino, originario di Campertogno e medico a Torino, ha effettuato una ricerca accurata sulla “febbre dell’oro” in Valsesia: «Ad Alagna l’attività mineraria fu particolarmente fiorente e persiste ancora oggi. Soltanto alcuni degli scavi furono seguiti da attività estrattiva vera e propria». E sempre il professor Molino ha fatto una curiosa scoperta andando a scartabellare antichi documenti: «A Mollia l’unica attività mineraria di cui rimane memoria è quella alla Parei bianca, sul sentiero per l’alpe Ortigosa. Qui si dice che sia stata estratta la piccola quantità d’oro occorrente appena per far confezionare un paio di orecchini».

Sono ormai pochi i cercatori d’oro che scelgono il Sesia per praticare quella che è più che altro una passione: resta il fatto che la possibilità di trovare qualcosa esiste

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