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Pneumologo Borgosesia: vi racconto l’incubo Covid, noi a combattere in corsia 14 ore al giorno

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Pneumologo Borgosesia testimonia la sua esperienza nel reparto Covid: fra turni senza fine e malati in isolamento.

Pneumologo Borgosesia racconta la battaglia

Hanno combattuto una battaglia senza quartiere contro un nemico tanto piccolo quanto pericoloso. «Siamo stati sul punto di dover scegliere chi curare e chi no. Per fortuna non è successo, ma ci è mancato davvero poco». Parole drammatiche, che non arrivano però da uno degli ospedali lombardi, in prima linea nella battaglia contro il virus. A pronunciarle, infatti, è il dottor Roberto Miceli, uno degli specialisti (è pneumologo) in servizio per mesi nel reparto covid del nosocomio di Borgosesia. Dove, nel momento di massima diffusione del Coronavirus, si è temuto il peggio. Il medico di origine di siciliana (è nato in un paese della provincia di Agrigento), ma da vent’anni in Valsesia, racconta la sua esperienza, dopo che al “Santi Pietro e Paolo” il reparto dedicato alla malattia che sta mietendo centinaia di migliaia di morti in tutto il mondo è finalmente chiuso per mancanza di pazienti.

Il momento più critico

Dottor Miceli, qual è stato il momento più difficile nella battaglia contro il covid, che almeno per il momento sembra vinta?
Sicuramente la prima settimana, in cui ci sono stati momenti anche drammatici. Ci siamo trovati di fronte a una patologia del tutto nuova e di cui sapevamo pochissimo, con un quadro clinico imprevedibile. Da un lato c’era una malattia che aveva un’evoluzione molto rapida, con alcuni pazienti che arrivavano in condizioni discrete e poi peggioravano in tempi brevissimi, dall’altro c’era l’impellente necessità di trovare posti letto, vista l’altissima richiesta di ricoveri, anche di persone che arrivavano da altre zone in cui la situazione era alquanto critica. Anche a Borgosesia nella fase più acuta si è stati sul punto di dover scegliere quali pazienti trattare e quali no. Siamo arrivati al limite, per fortuna non è stato necessario farlo, ma se l’emergenza fosse proseguita ancora un paio di settimane temo non sarebbe stato possibile evitarlo.

Rischio seconda ondata

Il calo di morti e contagi deve far ben sperare per la vittoria definitiva sul virus? E’ d’accordo con chi dice che la sua carica virale è diminuita e che c’è il rischio di una seconda ondata?
Sicuramente senza il distanziamento sociale sarebbe stata una strage. Bisogna fare tesoro di quello che abbiamo passato nelle scorse settimane e continuare a usare il buon senso. Se ci dimentichiamo l’abc rischiamo la nascita di nuovi focolai. Non è plausibile sperare in un vaccino efficace e tollerato in tempi brevi e allora la cosa migliore è mantenere le opportune misure cautelari valide in tutto il mondo. La crescita delle persone infette avviene quando c’è un contatto stretto tra le persone e noi a Borgosesia nel nostro piccolo ce ne siamo resi conto. Abbiamo avuto infatti parecchi pazienti di Alagna e le foto di quella domenica con le code degli sciatori agli impianti di risalita le abbiamo viste tutti. Purtroppo gli effetti si sono visti. Su una possibile seconda ondata non abbiamo certezze, quello che è certo è che anche per alcuni guariti, il virus è stata un’esperienza pesantissima. Molti hanno avuto danni a livello di reni e polmoni, che richiederanno un nuovo monitoraggio e che per alcuni resteranno permanenti.
Oltre all’aspetto medico, durante l’emergenza molti hanno raccontato lo strazio di non aver potuto parlare con un parente malato, che poi magari non ce l’ha fatta. A Borgosesia come avete affrontato questa situazione?
La priorità era ovviamente la cura del paziente e per questo si era stabilito di interloquire con i parenti in un orario prestabilito, solitamente alla sera, per aggiornarli sulle condizioni. A chiamare eravamo noi, visto che era vietato telefonare dall’esterno. Un compito psicologicamente impegnativo perché molti peggioravano ed è successo ovviamente anche di dover dire a una persona che il suo caro, che magari non vedeva e non sentiva da giorni, non ce l’aveva fatta. Un grande aiuto ci è arrivato dalla tecnologia, grazie ad alcuni smartphone e tablet che ci sono stati donati, in alcuni casi è stato possibile far parlare e salutare i malati e i loro congiunti.

Le ore in corsia

Quando, per fortuna, la situazione ha iniziato a diventare meno drammatica?
Il numero di pazienti sottoposti a ventilazione ha cominciato a ridursi all’inizio del mese di maggio. Il reparto covid dell’ospedale di Borgosesia ha funzionato a tutti gli effetti come tutti gli altri allestiti in Italia, garantendo ai pazienti le cure necessarie. La criticità delle condizioni dei pazienti si è man mano ridotta e così gradualmente alcuni sono stati dimessi, altri non gravi ma con tamponi positivi sono stati dirottati a Varallo e Gattinara, mentre una piccola parte è stata trasferita a Vercelli in rianimazione. Per l’evoluzione positiva della situazione è stato fondamentale l’apporto di tutti, quello dei colleghi, come la dottoressa Lorenza Conti, l’altra pneumologa e referente del reparto, dei medici anestesisti, del personale del pronto soccorso, di infermiere, infermieri e oss. Ma vorrei ringraziare in maniera particolare anche altre figure professionali preziose, come quelle degli addetti alle pulizie, che sono stati encomiabili, e che hanno lavorato duramente senza stare sotto i riflettori e per pochi euro, in un momento in cui era necessario sanificare e pulire gli ambienti più volte al giorno.
Nella fase di massima emergenza quante ore stavate in ospedale e quali precauzioni dovevate osservare al momento di tornare a casa?
Io e i miei colleghi eravamo in reparto alle 7.30 del mattino e uscivamo, quando andava bene verso le 21.30. Ma è capitato di essere ancora in ospedale alle 23. Al rientro in famiglia, ovviamente, mangiavo e dormivo in una stanza a parte. Ed entravo dal balcone, buttandomi subito sotto la doccia, dopo aver messo tutti i vestiti nella lavatrice, perché il timore di portarsi a casa questo virus c’era eccome. Mia moglie e mia figlia, che vivono con me, le ho viste pochissimo in quel periodo, solo alla sera tardi e magari soltanto per il tempo di dire “io mangio davanti alla tv, voi state in cucina”. Quando in reparto sono arrivati altri medici e infermieri abbiamo respirato un po’ di più.

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1 Commento

1 Commento

  1. ROSITA BARCO

    23 Giugno 2020 at 18:51

    Conosco personalmente il Dott.Miceli è persona di grande animo. Ottimo medico e con grandi capacità di rapportarsi al paziente.
    Sicuramente il suo impegno e la sua tta sono stati enormi e tutii i colleghi di Borgosesia hanna lavorato con lui inmaniera sinergica.
    Grazie per essere un così bravo medico.
    R.Barco

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