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In pensione dopo 41 anni il medico di Romagnano
Il dottor Gabriele Sganzetta a riposo: “Prima di tutto dobbiamo saper ascoltare”.
In pensione dopo 41 anni il medico di Romagnano. Il dottor Gabriele Sganzetta a riposo: prima di tutto dobbiamo saper ascoltare.
In pensione dopo 41 anni il medico di Romagnano
Dall’inizio dell’anno ha fatto ingresso a Romagnano un nuovo medico di famiglia, la dottoressa Anna Galatà, che ha sostituito il medico “storico” romagnanese Gabriele Sganzetta. Il quale, dopo 41 anni di servizio, ha deciso di lasciare il proprio incarico. Una decisione difficile, dopo aver vissuto per tanti anni a stretto contatto con pazienti che spesso conosceva di persona anche al di fuori della professione.
E ancor di più, avendo seguito le orme del padre Gaudenzio che, prima di lui, era stato “medico condotto” del paese per tanti anni. Prima di lasciare l’incarico, Sganzetta ha cercato di fare di tutto perché i suoi pazienti non rimanessero senza medico.
Difficile trovare un sostituto
«Negli ultimi mesi dell’anno abbiamo lavorato per trovare un sostituto, ma non è stata un’operazione facile – conferma -. Però non potevo lasciare senza un’alternativa le tante persone che avevo conosciuto negli anni, che si erano rivolte a me perché avevano sì un problema fisico, ma spesso nascondevano disagi profondi che solo l’ascolto di una persona di fiducia poteva alleviare. Ciò a cui tengo, è di continuare a mettermi a disposizione di chiunque vorrà rivolgersi a me, per continuare quel rapporto che si è instaurato nel tempo. Sono un medico, ma anche un cristiano e come tale nella persona vedo prima di tutto l’individuo, non solo il paziente».
La vocazione sin da giovane
Sganzetta, che ha deciso di ritirarsi dalla professione dopo aver compiuto i 68 anni, aggiungendo altri quattro mesi per arrivare alla fine dell’anno, ha seguito fin da giovane l’obiettivo di proseguire l’impegno iniziato dal padre. Frequentata la facoltà di medicina a Novara, allora distaccamento di Torino, si è laureato nel capoluogo piemontese quando le modalità per diventare medico erano ancora molto diverse da quelle di oggi».
«Allora c’erano i confronti con i docenti e agli esami bisognava illustrare nello spazio di un quarto d’ora le proprie conoscenze sia dal punto di vista teorico che pratico – spiega -. Il medico doveva possedere un bagaglio delegato a una pratica, quella del visitare. Per questo ci si formava con una convinzione: che prima di tutto si dovesse ascoltare, conoscere la storia di ogni persona sotto tutti i punti di vista, non solo della malattia.
“Il paziente va asoltato”
«Il paziente andava certamente visitato, ma anche ascoltati i suoi disturbi, per poi prescrivere esami per confermare l’idea che, nel frattempo, ci eravamo già formati. Purtroppo oggigiorno frequentemente succede il contrario: viene un paziente in studio, elenca i sintomi, gli si prescrivono esami e con quegli esiti si valuta il percorso da compiere. Ma continuo a pensare che anche ai nostri giorni, pur avendo la tecnologia ad agevolarci nel lavoro, si debba sempre studiare la persona che abbiamo davanti con i suoi dilemmi, le paure e cercare di capirla e di cominciare, prima di tutto, a tranquillizzarla».
«Anche oggi, insomma, per me è importante e fondamentale ascoltare le persone attraverso quello che ci raccontano e avere un rapporto diretto. Ecco, quello che spero è di essere riuscito a trasmettere a chi si è rivolto a me l’impressione che mi stessi occupando proprio di lui, della sua individualità e non soltanto dei suoi sintomi. Per questo spero di poter essere ancora utile alle persone che potrò incontrare, pur intendendo impegnare molto del mio tempo per la famiglia e dedicarmi ai miei nipoti come finora non ho potuto».
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