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Gessi basket come Leicester: parla capitan Gatti
Gessi basket parla capitan Gatti
Il veterano delle “aquile”, infatti, non ha potuto giocare gara 5 a Firenze a causa di un infortunio patito sul finale del precedente match giocato al Pala Loro Piana. Come sarebbe finita se avesse giocato? Impossibile dirlo, ma certamente vedere i compagni dalla panchina sorretto dalle stampelle è stato uno choc: «Un po’ come provarci con una ragazza per tanti anni e poi scoprire che si è fidanzata con un altro – prova a sdrammatizzare Gatti – . Scherzi a parte è stato davvero un boccone amaro da mandare giù. Ho pensato sinceramente che non era giusto finire così una stagione esaltante per la squadra e per me. Magari avrei fatto schifo, ma avrei meritato di giocarla quella partita. Invece purtroppo non riuscivo neppure ad appoggiare la gamba». Colpa di un guaio alla caviglia, con tanto di distorsione di un legamento, che ancora adesso lo costringe a muoversi con un piccolo tutore e le stampelle.
Amarezza finale
E ora il capitano inizia a pensare al futuro. «Sono consapevole di aver fatto un bel campionato, ampliando molto anche il mio raggio d’azione. Se fino alla passata stagione il mio punto di forza era sempre stato il tiro da tre, in questa ho imparato a giocare in post basso aumentando la mia efficacia. Sarei un falso se dicessi che non prenderò in considerazione un’eventuale proposta di una squadra che ha l’ambizione di vincere il campionato. Credo sarebbe impossibile dire di no, ma tutti i discorsi di mercato sono ancora in divenire. Mi incontrerò con la dirigenza e vedremo».
«Mezzo miracolo come Leicester»
Il capitano della Gessi ha bene in mente quali sono stati i segreti della super stagione disputata da lui e dai suoi compagni: «Secondo me quest’anno abbiamo fatto un mezzo miracolo, paragonabile forse alla vittoria del Leicester in Premier League. Credo che difficilmente potrà ricapitarmi una cosa del genere in carriera. Abbiamo attraversato momenti difficili, con infortuni importanti. Ma ci siamo compattati come gruppo e nonostante alcuni limiti abbiamo chiuso in crescendo. E’ stato fondamentale avere ben chiari i ruoli di ognuno all’interno della squadra. Si è capito subito chi doveva fare certe cose e chi altre. Io e Magrini eravamo i principali terminali, ma tra di noi non c’è mai stata gelosia, non ci siamo messi a contare quanti tiri facevo io e quanti ne faceva lui. Siamo stati squadra fino in fondo e questo ha fatto la differenza».
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