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Uccisa davanti alla fabbrica, Trivero ricorda i 20 anni dal dramma di Deborah

Nel novembre 2005 l’omicidio di frazione Fila: la ragazza aveva più volte denunciato l’uomo che la perseguitava.

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Uccisa davanti alla fabbrica, Trivero ricorda i 20 anni dal dramma di Deborah. Nel novembre 2005 l’omicidio di frazione Fila: la ragazza aveva più volte denunciato l’uomo che la perseguitava.

Uccisa davanti alla fabbrica, Trivero ricorda i 20 anni dal dramma di Deborah

Sono passati 20 anni da quando a Trivero fu uccisa Deborah Rizzato. Era la mattina del 22 novembre 2005 quando la 25enne venne raggiunta dal suo aguzzino proprio davanti alla fabbrica tessile di frazione Fila a Trivero dove lavorava. Emiliano Santangelo la uccise, si diede alla fuga per essere poi bloccato. Venne condannato per omicidio, e si tolse la vita in carcere dopo un anno di detenzione.

All’epoca le leggi a tutela delle donne sottoposte a violenza e stalking non erano così come forti come oggi. Eppure Deborah e la sua famiglia avevano denunciato quel 33enne che era finito nei guai anche per piccolo reati. In zona tutti sapevano che la sua ossessione era diretta a una ragazza in particolare: Deborah Rizzato.

Una lapide fuori dalla fabbrica

Fuori dalla fabbrica in cui lavorava, ora chiusa, venne messa una lapide in ricordo di quella ragazza dai capelli biondi e dallo sguardo sognante. Il Comune di Trivero (e ora Valdilana) ha ricordato più volte Debora con serate e spettacoli. Dopo vent’anni la legge per fortuna è cambiata, ma le vittime di violenza sono ancora troppe.

La giovane abitava a Cossato. Poco più che adolescente venne molestata da Santangelo che la violentò. Era il 1995, la famiglia Rizzato sporse denuncia, mentre l’uomo continuava a minacciare la ragazza.

Una vera ossessione

Venne condannato a tre anni e li scontò. Ma il carcere non fermò la sua ossessione. Divenne ancora più violento. Venne anche ricoverato in un centro ospedaliero nel Torinese per disturbo della personalità multipla. Andò anche in un centro di igiene mentale nell’Eporediese. Ma nulla servì. Viveva a Carema.

Debora aveva provato a lasciarsi alle spalle quelle brutte storie. Lavorava in una azienda tessile a Trivero. Ma sapeva che Santangelo era in agguato. Aveva ricevuto continue minacce, episodi di stalker. Anche la sua famiglia era stata presa di mira. E di denunce in caserma verso Santangelo ne aveva fatte e anche parecchie. Ma non c’erano leggi che potessero tutelarla.

La mattina del delitto

Il 22 novembre 2005 faceva freddo a Trivero. Debora era arrivata fino alla fabbrica, parcheggiò. Non c’era nessuno a quell’ora. Era mattina presto. Si guardò attorno e non vide nessuno, quindi andò verso la porta della fabbrica. All’improvviso uscì da un’auto presa in prestito Emiliano Santangelo. Si avventò su Deborah. La giovane non ebbe neppure il tempo di reagire. Venne trafitta dalle lame di un coltello impugnato da Santangelo che la lasciò morire sull’asfalto.

L’uomo si diede alla fuga. Fu un collega di Debora a trovarla priva di vita sull’asfalto. Subito partirono le indagini. I carabinieri non impiegarono molto a identificare e incriminare il suo assassino: conoscevano il suo nome da quando l’aveva stuprata dieci anni prima. L’allora ministro della Giustizia, Roberto Castelli, porse le scuse dello Stato alla famiglia di Debora.

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